BY: admin
Psicoterapia
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Quando si sceglie di andare da uno psicoterapeuta, lo si fa con un obiettivo: risolvere un qualche disagio psicologico, trovare una “cura” a dei sintomi che si manifestano nella vita quotidiana e che mettono in difficoltà, avendo un impatto sulla serenità e il benessere. Si comincia così, dopo il primo contatto, un percorso che si fonda sul costruire un solido rapporto con il terapeuta il quale, con la presa in carico, si assume un’importante responsabilità: restituire al paziente il suo benessere nel più breve tempo possibile.
La terapia che non funziona e l’abbandono del paziente
Non è vero, infatti, che una psicoterapia funziona soltanto se è molto lunga, protratta nel tempo per anni e anni. Vero è che è impossibile stabilire a priori la durata del percorso poiché esso dipende dagli sviluppi successivi, dagli scarti, da improvvise prese di coscienza e da possibili regressioni in corso d’opera. Non si tratta di un procedimento lineare, che va da A a B, ma di un processo complesso, che tocca le parti più profonde dell’individuo e che può anche fallire. È possibile, già dai primi incontri, che il paziente non voglia proseguire e che decida di abbandonare la terapia: è il drop-out, un momento particolarmente delicato poiché c’è una brusca interruzione. Spesso può dipendere da delle resistenze del paziente oppure da un transfert negativo, la proiezione di sentimenti negativi relativi al proprio vissuto relazionale sul terapeuta. Quando il paziente manifesta il desiderio di interrompere la psicoterapia, il terapeuta professionista ha il compito di interpretare questa richiesta e di aiutarlo a comprenderne le motivazioni. Nel caso in cui il paziente continui ad insistere, il terapeuta deve poterlo lasciar andare.
La psicoterapia che prosegue oltre ogni limite
Potrebbe verificarsi, però, anche il caso opposto: la circostanza in cui una psicoterapia prosegue senza limiti, instaurando un circolo vizioso tra paziente e terapeuta, incapaci di arrivare a quel momento fondamentale e risolutivo che è la conclusione della terapia. Alcuni terapeuti, inesperti, alle loro prime psicoterapie, possono anche avere delle resistenze a concludere il percorso, andando a fare leva sulla dipendenza che il paziente sviluppa nei loro confronti. Questo può avvenire nel caso in cui il terapeuta non abbia completamente risolto alcuni problemi legati al suo vissuto e ricerchi, in questo rapporto in cui si pone come soggetto dominante, delle gratificazioni narcisistiche. È evidente come un simile comportamento comporti un serio danno al paziente, che viene privato della propria autonomia. Si crea, infatti, una collusione tra i due membri della coppia terapeutica per la quale il paziente si ferma, non si protende più verso una crescita che lo porti ad assumersi totalmente la cura di sé, e lo psicoterapeuta ne trae soddisfazione, sfruttando il proprio potere, cadendo nella trappola di sentirsi indispensabile. Per far fronte a questo è fondamentale la presenza di un supervisore, che possa valutare l’operatore del professionista e la correttezza dell’assetto con il paziente, dal setting ai confini da stabilire.
Come si conclude una psicoterapia
Quando si instaura un processo virtuoso, in cui paziente e terapeuta collaborano attivamente per risolvere il disagio, è fisiologico e naturale che si arrivi a una conclusione. Conclusione che, però, non coincide con il semplice superamento della difficoltà iniziale, del disturbo che ha portato il paziente in terapia. Se è vero che si decide di intraprendere questo percorso con degli obiettivi primari, coscienti, legati prevalentemente a un disturbo egodistonico, come degli attacchi di panico o , dei disturbi psicosomatici, i primi risultati si vedono entro 3 o 4 mesi. I sintomi si alleviano, si apprendono le tecniche per riuscire a gestire le difficoltà che turbano il quotidiano ma si decide di andare oltre.
Il sintomo, infatti, è come un campanello d’allarme, un richiamo verso la psiche che permette di entrare in contatto con il proprio mondo interiore. È una via che permette di rendersi conto che esiste un mondo mentale che fino a quel momento si è completamente ignorato, ma che sta appena sotto la superficie. Il sintomo consente, così, di portare alla coscienza questa realtà sotterranea. A questo punto agli obiettivi primari, se ne vanno ad aggiungere altri, più profondi e strutturali e la psicoterapia diventa un percorso per prendere consapevolezza di sé, delle proprie risorse e, soprattutto, per arrivare ad acquisire la capacità di prendersi cura di questo mondo interiore.
La terapia si conclude positivamente quando paziente e terapeuta scelgono di comune accordo che è arrivato il momento giusto, quello del distacco. Solitamente si concorda con alcune sedute di anticipo per poter dare all’altro la possibilità di elaborare il lutto della separazione. È un momento molto forte, carico di significato e, proprio per questo, estremamente “curativo”. Laddove il paziente ha subito dei momenti di distacco traumatico, l’abbandono immotivato, senza essere pronto, senza aver potuto parlare di quello che stava accadendo, la conclusione della terapia si configura come una separazione non traumatica, investita di senso ed empatia. Ha un alto valore simbolico poiché rappresenta un modo per prendere le distanze con la figura di riferimento, assimilata al genitore, acquisendo la propria autonomia e indipendenza. La conclusione della terapia non è uno strappo, ma un trampolino di lancio verso la vita.
In alcuni casi durante l’ultima seduta il terapeuta può offrire l’interpretazione conclusiva: in poche parole, sintetiche e significative, egli riassume il nodo fondamentale della terapia. È quasi un aforisma, qualcosa che possono capire soltanto paziente e terapeuta poiché durante il loro rapporto hanno stabilito dei codici, delle parole chiave in comune. L’interpretazione conclusiva porta con sé, in molti casi, un insight potente, un’intuizione immediata e improvvisa che si coniuga anche a una forte commozione. Inoltre, proprio per evitare di instaurare un rapporto di dipendenza, il terapeuta non si nega all’altro, ma lo rassicura riguardo la possibilità di poter tornare da lui in caso di bisogno, lasciando sempre la porta aperta per un vecchio paziente.
I risultati più grandi di una psicoterapia spesso avvengono dopo la conclusione, nel momento in cui il paziente interiorizza il terapeuta e mette in pratica quelle modalità diverse, più competenti ed evolute, che il professionista gli ha trasmesso per prendersi cura di sé.