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Psicologia
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L’immagine che abbiamo di noi stessi si forma nei primissimi anni di età, a contatto con le figure primarie di riferimento, solitamente i genitori.
È in questa fase, delicatissima, che si aprono quelle ferite che condizioneranno la formazione dell’individuo e, soprattutto, della sua autostima.
Come rileva Alice Miller nel libro “Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé”, quando un bambino non è amato in modo adeguato, quando si sente rifiutato dai propri genitori che non riescono a comprenderne i bisogni, immagina di non essere meritevole d’amore.
Il pediatra e psicoanalista Winnicot sostiene che il bambino forma l’immagine di sé specchiandosi negli occhi dei propri genitori, in particolare della madre. L’individuo che riceve dal proprio genitore un’immagine svilita si forma una personalità segnata da profonde ferite narcisistiche.
Da adulto tutto ciò si riflette nella mancanza di un adeguato livello di autostima e nell’insorgenza di diversi tipi di disagi, dai disturbi d’ansia alla difficoltà nell’esplorare in modo sereno il mondo relazionale, sentimentale, sessuale e persino quello lavorativo.
Un doppio falso sé, la maschera della scarsa autostima
Quando, dunque, avviene un rispecchiamento distorto in cui ci viene rimandata un’immagine svalutata di noi stessi è come se ci guardassimo in uno specchio deformante. Quello che abbiamo davanti è un falso sé, che si modella non sulla base dell’affetto e dell’attenzione altrui, ma fondando il proprio senso dell’identità sull’accondiscendenza verso le richieste degli altri. L’unico modo per garantirsi la vicinanza, l’affetto, la stima delle persone vicine.
Ma questo falso sé ha una doppia faccia. Proprio per non cadere nel baratro della depressione, per sopravvivere a quel deprezzamento percepito fin dalla più tenera età, ci si forma un falso sé di compensazione. Un falso sé grandioso da non confondere con grandezza e autostima veri e sani.
Questo tipo di personalità, infatti, è caratterizzato da un forte sentimento di rivalsa, un desiderio di riscatto che sfocia anche in fantasie sadiche. Chi vive questa situazioni è spesso confuso perché si trova ad avere a che fare con un’immagine di sé scissa e altalenante, che oscilla tra lo svilimento e la grandiosità.
L’atteggiamento tipico è quello iper-efficientista: deve dimostrare a tutti i costi qualcosa a sé stesso e agli altri, ma soprattutto incanala tutte le energie nello sforzo di inseguire un ideale di sé irraggiungibile. Si pone obiettivi sempre più elevati, alza costantemente l’asticella, senza mai accontentarsi dei traguardi raggiunti, spingendo al massimo, oltre il limite, per avere prestazioni sempre maggiori.
Ma l’autostima, nonostante tutto questo, non si sposta di un centimetro.
Si tratta di un vero e proprio atteggiamento nevrotico: l’individuo cerca attraverso un’azione pratica, esteriore, di risolvere un problema interiore, di natura psicologica. Nel profondo si nasconde un senso di inadeguatezza perché i feedback positivi esterni non arrivano a lui, ma al suo falso sé, a quella maschera che si è calato sul volto per proteggersi.
Ritrovare l’autostima grazie alla psicoterapia
La psicoterapia rappresenta la via maestra per superare questo tipo di disagio, sviluppando un adeguato livello di autostima, fondamentale per la vita. Il terapeuta interviene in diversi modi.
Innanzitutto, guida il paziente alla comprensione della causa del proprio problema e alla sua risoluzione in senso psicologico, uscendo dall’atteggiamento nevrotico.
In secondo luogo, durante le sedute di psicoterapia si può mettere in discussione le figure genitoriali ed entrare in contatto diretto con il senso di abbandono sperimentato nell’infanzia. Ciò permette di scongelare quelle emozioni che sono state represse e rimosse da bambini. E di prendersene cura, arrivando a elaborarli.
Inoltre si arriva a riconoscere di aver idealizzato i propri genitori svalutanti, che non sono stati in grado di dare ciò di cui si aveva bisogno da bambini. Questo permette di riappropriarsi di un’immagine di sé adeguata, aderente alla realtà. Attraverso il transfert che si sperimenta in psicoterapia il paziente può fare un’esperienza emotiva sostitutiva, con un rispecchiamento non più svalutante e svilito ma adeguato. Tutto ciò avviene con ancora più forza nella terapia di gruppo, dove il paziente ha accesso a una molteplicità di feedback diversi e quindi molteplici rispecchiamenti.