BY: admin
Psicoterapia
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Nel suo libro “Il dono della terapia”, Irvin Yalom porta avanti una riflessione molto interessante sul tema della trasparenza tra terapeuta e paziente. Non c’è nessuna buona ragione per la quale il terapeuta debba nascondersi, avvolgersi in un velo di mistero, tenendo una distanza che gli conferisce autorità. Spesso i terapeuti si sentono a disagio riguardo questo argomento. Ma, secondo Yalom, questo è perché c’è molta confusione sul concetto di autosvelamento.
Questo rivelarsi all’altro passa attraverso una serie di comportamenti che hanno a che vedere con tre diversi ambiti: quello del meccanismo e del funzionamento stesso della terapia; quello dei sentimenti vissuti dal terapeuta nel qui-e-ora; quello della vita personale del terapeuta stesso. In questo articolo tratteremo soltanto il primo di questi ambiti, lasciando a un secondo momento la questione dei sentimenti e la possibilità per il terapeuta di condividere con il paziente aspetti della propria vita personale.
Dare al paziente gli strumenti giusti: perché spiegare il meccanismo della terapia
I guaritori sanno che ammantare di mistero e segretezza sé stessi e le proprie pratiche conferisce loro un potere, un’ascendente potentissimo sugli uomini. Ispirano soggezione perché mantengono qualcosa di sconosciuto, nascondendolo alla vista degli altri. Spesso c’è il rischio che anche il terapeuta cada nella tentazione del mistero, della magia e dell’autorità. Ma, scrive Yalom, perché si possa instaurare una relazione autentica con il paziente, strumento fondamentale per il processo di guarigione, è necessario che il terapeuta rinunci a questo potere.
Gli studi dimostrano che la psicoterapia ha maggior forza ed efficacia quando il paziente sa quali sono i meccanismi sottesi, le dinamiche, la logica che sta alla base. Un terapeuta esperto dovrebbe preparare i nuovi paziente che prende in cura, spiegandogli cosa accade durante le sedute, informarli sui presupposti. Quando entra per la prima volta nello studio del terapeuta, infatti, il paziente si fa già carico di un’ansia primaria, del malessere e del disagio che lo ha portato sino a qui. Non ha senso, dunque, esporlo a un’ansia secondaria, mettendolo di fronte a una situazione inconsueta, ambigua, all’interno della quale non come sa muoversi. È importante fornirgli il corretto supporto, preparandolo in modo adeguato al percorso di psicoterapia.
Questo ha ancora più valore nel caso della terapia di gruppo. La particolare situazione in cui si trova un paziente che non ha mai fatto questo tipo di esperienza è ansiogena. La stessa dinamica interna al gruppo può creare un senso di angoscia: l’intimità, l’interazione, l’intensità del rapporto sperimentato, sono tutti fattori che possono incidere profondamente sull’esperienza della terapia. Per questo motivo, il terapeuta deve introdurre il paziente in modo graduale, consentirgli di comprendere, fornirgli delle linee guida alle quali può attenersi.
Allo stesso modo è importante la preparazione anche per la terapia individuale. È improbabile, infatti, che il paziente sia stato coinvolto in una relazione in cui deve essere disponibile a dare piena fiducia, ad aprirsi completamente, rivelando le parti nascoste di sé, senza timore del giudizio dell’altro, venendone accettando.
Si può fare un esempio pratico di quel che accade nello studio del terapeuta.
Se un paziente manifesta difficoltà relazionali, disagio nei rapporti con gli altri, il terapeuta gli illustrerà il modo in cui verrà esplorato questo ambito. Poiché è complesso conoscere il tipo di rapporti che il paziente ha con le altre persone della sua vita, poiché questo insieme di relazioni viene filtrato attraverso il punto di vista, le convinzioni, le emozioni del paziente stesso, non saranno oggetto dell’analisi. Sarà di maggior aiuto focalizzarsi sul rapporto sul quale il terapeuta possiede più informazioni, cioè quello tra il paziente e il terapeuta stesso. Per questo egli gli chiederà di esaminare insieme ciò che accade tra di loro.