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Psicoterapia
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Alla genesi di un comportamento maltrattante del genitore nei confronti del bambino, in molti casi, c’è un disagio, un conflitto irrisolto, una ferita interiore che il padre o la madre non riesce a vedere, di cui non è consapevole. Può trattarsi di difficoltà nella gestione della rabbia, di un disturbo d’ansia o magari di problemi legati all’alimentazione.
Qualunque sia il problema, l’adulto si trova nella condizione di non riuscire ad affrontarlo in modo diretto, di riconoscerlo e operare per risolverlo. Di conseguenza, si innesca quel meccanismo di difesa che è la scissione, per cui si tende a scindere, separare nettamente quella componente di noi stessi, quell’elemento che non riconosciamo come nostro, finendolo con proiettarlo all’esterno, su qualcun altro.
Quel qualcuno, spesso, è nostro figlio.
Il proprio figlio, infatti, è il contenitore perfetto delle propriezioni proprio perché riproduce gesti e comportamenti del genitore. Il bambino, di fatto, esposto continuamente ad alcuni comportamenti del padre o della madre, li assorbe e comincia a manifestarli in forma simile. Si crea un meccanismo per il quale, il genitore ansioso o rabbioso, trasferisce inconsapevolmente il proprio disagio al figlio.
Gli effetti della proiezione sui bambini
Indice
Jung diceva che quando qualcuno ci fa arrabbiare bisognerebbe ringraziarlo perché ci sta mettendo in contatto con una parte di noi stessi, con qualcosa di irrisolto dentro di noi. La reazione di rabbia e incomprensione è proprio quella che si scatena nel genitore di fronte al disagio espresso dal figlio.
Un disagio che è, effettivamente, specchio di quello vissuto dal genitore stesso.
Quando l’adulto vede nel bambino i sintomi di quella dinamica conflittuale che lui stesso porta dentro di sé, non è in grado di accettarlo. Prova un rifiuto per la parte di sé che vede nell’altro, nel figlio. Non ha gli strumenti per risolvere quel problema, altrimenti lo avrebbe già affrontato e vinto in sé. Di conseguenza, lui o lei cerca di reprimere la parte di sé che emerge attraverso il bambino. Nel caso di un genitore che soffre d’ansia e che ritrova quello stato ansioso nel figlio, potrà reagire rimproverandolo, usando frasi come: “Stai buono!” oppure “Stai fermo!” o ancora “Stai calmo!”.
Frasi che, però, sono cariche di uno stato emotivo angoscioso, magari urlate, o comunque espresse con una forte quota di aggressività e agitazione. Si crea una situazione estremamente problematica per il bambino poiché, allo stesso tempo, riceve due messaggi contraddittori tra di loro.
Da un lato, a livello verbale, il genitore gli dice di calmarsi, cerca di placare l’inquietudine che ha manifestato.
Dall’altro, però, a livello di comunicazione non verbale, attraverso i gesti, l’atteggiamento, il tono della voce, lo sollecita in senso contrario, ingenerando un forte stato di ansia.
Questo tipo di dinamica è quello che l’antropologo e psicologo Gregory Bateson definisce doppio legame: una situazione in cui la comunicazione tra due individui, legati da una relazione emotivamente rilevante, presenta una discrepanza forte tra i due piani, quello verbale e non verbale. Il bambino piccolo non ha la capacità di comprendere la dinamica al di sotto di tutto questo. Allora, prova una dissonanza cognitiva ed emotiva molto forte poiché ha di fronte a sé due realtà incompatibili.
In alcuni casi, se viene esposto di frequente a questo tipo di dinamica, nel bambino può svilupparsi la schizofrenia.
Andare in terapia prima di mettere su famiglia: scegliere la prevenzione
Prevenire è sempre meglio che curare: è un’espressione proverbiale che ha senso non soltanto per quel che riguarda la salute fisica, ma anche per il benessere psicologico. A parer nostro, proprio per evitare il tipo di dinamiche qui esposte, che portano a maltrattamenti psicologici e, purtroppo, anche fisici, sarebbe opportuno scegliere di rivolgersi a un terapeuta prima di mettere su famiglia.
Quando una coppia intende mettere al mondo un bambino e andare incontro alla genitorialità, farebbe bene a prendere in considerazione la possibilità di intraprendere una terapia “per persone che stanno bene”.
Un percorso che serve a preparare, informare e prevenire il disagio familiare attraverso il sostegno genitoriale. Questo perché molto spesso è proprio quando arriva un figlio che alcune problematiche latenti esplodono. Prima sembra che tutto vada bene, non ci sono segnali o sintomi evidenti.
È la nascita del bambino e il cambiamento degli equilibri, del regime familiare a determinare l’emersione di un disagio rimasto silente.
È importante anche capire che quando il bambino ha delle problematiche, è necessario guardare all’intera famiglia per comprenderne le reali cause. Il bambino è prodotto dell’ambiente familiare in cui cresce, assorbe le tensioni, i comportamenti errati. In qualche modo, il disagio espresso dal figlio è un sintomo del malessere della famiglia, è il segnale che qualcosa deve essere rimesso in discussione e cambiato.