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Psicologia
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a cura del dottor Simone Ordine
La letteratura rappresenta uno straordinario bacino di risorse a cui attingere per riflettere sulla natura umana e soprattutto sulla psiche e sulle sue dinamiche. È un concetto che abbiamo espresso più volte e che si lega a un’impostazione che ha a che fare con la psicoterapia esistenziale. Un approccio terapeutico che si non rimane rigidamente ancorato a rigidi schemi teorici ma che si rivolge alle diverse branche del sapere e dell’arte, dalla letteratura alla filosofia, per ricavarne spunti di riflessione, immagini, simboli, metafore che sono funzionali al lavoro terapeutico.
L’Avversario, un romanzo-verità che racconta le radici del male
Indice
In questo articolo, proporremo una lettura psicologica di un noto romanzo dello scrittore francese Emmanuel Carrère, l’Avversario. Si tratta di un romanzo-verità, della cronaca precisa e documentata di una serie di omicidi compiuti il 9 gennaio 1993 da Jean-Claude Romand. Un uomo che, in un fredda giornata invernale, uccide la moglie con un mattarello, spara ai due figli piccoli e poi, dopo aver pranzato con i propri genitori, massacra anche loro. È un fatto di cronaca reale, a cui segue un processo nel corso del quale viene alla luce la personalità di Jean-Claude e le ragioni che lo hanno spinto a compiere delitti tanto orribili.
In buona sostanza, Jean-Claude uccide tutta la sua famiglia perché si è reso conto di essere stato scoperto. Per tutta la sua vita, fino a quel fatidico momento, ha mentito, ha finto di essere qualcuno che non è, alimentando un’enorme bugia che si è ingigantita ogni giorno di più. Ha sempre fatto credere a tutti di essere un medico molto affermato, ricercatore dell’Organizzazione mondiale della Sanità, quando in realtà non ha mai completato gli studi universitari né si è iscritto all’ordine e tantomeno ha avviato una brillante carriera.
Ha finto anche di poter avere un certo tenore di vita, all’altezza delle aspettative dei suoi amici e vicini di casa. Ma i soldi che ha utilizzato per comprare la casa e per sostenere tutte le sue spese, prima li ha presi dal conto dei genitori poi da quelli di altre ingenue conoscenze, che si sono fidate di lui e della sua presunta integrità morale, affidandogli i propri averi. Sposato, con due figli piccoli, ha finito anche con l’intrecciare una relazione extramatrimoniale con una donna che, alla fine, è finita nel novero dei truffati. Ha costruito un’immagine di sé falsa che, a un certo punto, si è incrinata.
A quel punto ha deciso di agire.
I vissuti infantili alla base di una personalità disturbata: la famiglia e il doppio legame
Nel corso della lettura del romanzo e della ricostruzione dei fatti, emergono una serie di elementi che ci consentono di approfondire alcune dinamiche psicologiche che sono alla base dei comportamenti di Jean-Claude Romand. Dinamiche che hanno origine nell’infanzia, nei vissuti infantili del soggetto.
Leggendo le pagine che descrivono il modo in cui Romand è stato cresciuto ed educato e analizzandole alla luce delle conoscenze della psicologia, ci si rende conto di quanto la famiglia giochi un ruolo fondamentale. Riusciamo a capire la potenza dell’impronta che i genitori lasciano sui propri figli.
Non c’è bisogno che i genitori siano delle cattive persone.
Le figure di riferimento primarie, madre e padre, spesso senza volerlo, in modo del tutto inconscio, piantano dei semi nella mente dei loro figli. Semi di dinamiche e meccanismi che rimangono silenti, sottotraccia, invisibili per lungo tempo finché non danno i loro frutti, spesso anche in tarda età. Proprio come avviene in questo caso.
Una crisi potente come quella descritta nel libro di Carrère esplode all’improvviso, in un modo che appare del tutto incomprensibile. Senza i giusti strumenti, senza una chiara visione d’insieme, si fatica a comprendere che il seme di quel frutto amaro è stato piantato molto tempo prima, al tempo in cui il soggetto era bambino e si formava la sua personalità. Quel momento è talmente lontano nel tempo, che è molto difficile fare il collegamento con le cause originarie. Il gesto squilibrato sembra sorgere da un incomprensibile caos.
Eppure, ha un senso, per quanto oscuro.
La dinamica centrale a cui facciamo riferimento per quel che riguarda questo caso è quella del doppio legame (double bind). La teoria del doppio legame è stata elaborata da Gregory Bateson, psicologo, antropologo e sociologo britannico, tra i fondatori della Scuola di Palo Alto, centro di ricerca e psicoterapia nato alla fine degli anni Cinquanta, che ha rivoluzionato completamente l’approccio alla malattia mentale.
Nel libro “Verso un’Ecologia della mente” Bateson spiega che si ha un doppio legame quando nella comunicazione tra due individui, legati tra loro da una relazione affettivamente rilevante (come genitori e figli), si ha una contraddizione e un’incongruenza tra il piano verbale e quello non verbale. Detto in modo molto semplice, c’è un contrasto forte tra i messaggi che vengono dati sui due piani comunicativi diversi. A parole, uno dei due esprime un determinato concetto, fa un’ingiunzione ben precisa. Ma i suoi gesti, il tono della voce, la postura, l’atteggiamento, come si comporta – tutto ciò che ha a che fare con il piano non verbale – contraddice quanto espresso a parole.
Questo è proprio ciò che si verifica nell’infanzia di Jean-Claude Romand.
Romand, infatti, cresce in una famiglia con saldi principi morali, la cui integrità e rispettabilità è riconosciuta da tutto il paese. E anche lui deve essere così. Gli viene insegnato a dire sempre la verità, a essere onesto, scrupoloso e che la parola data è per sempre. Ma allo stesso tempo, viste le condizioni della madre che sembra soffrire di una strisciante depressione, gli hanno fatto capire che alcune verità è meglio non dirle, che bisogna nascondere alcune cose per evitare di darle dispiaceri e di far aggravare la sua salute. Ha imparato a mettere da parte i propri stessi sentimenti ed emozioni, pur di non far soffrire gli altri.
Scrive Carrère: “Racconta che sua madre si angustiava per qualsiasi cosa, e lui ha imparato presto a nasconderle la verità per evitarle ulteriori preoccupazioni. Ammirava suo padre perché non lasciava trasparire le proprie emozioni, e si è sforzato di imitarlo. Bisognava che andasse sempre tutto bene, se non voleva che sua madre peggiorasse, e lui sarebbe stato davvero un ingrato a farla peggiorare per delle sciocchezze, piccoli dispiaceri da bambini, meglio nasconderli […] Da un lato gli avevano insegnato a non mentire, e questo era un dogma assoluto: un Romand ha una parola sola, un Romand è limpido e cristallino come acqua di fonte. Dall’altro però certe cose, anche se erano vere, non andavano dette. Non bisognava amareggiare gli altri, né vantarsi dei propri successi o delle proprie virtù”.
Il cortocircuito mentale e i disturbi che ne derivano
Questo tipo di comunicazione distorta, spiega Bateson, è alla base dell’eziopatogenesi della schizofrenia. E anche se il protagonista de “L’Avversario” non è prettamente schizofrenico, il suo comportamento denota uno scollamento dal piano di realtà. La sua mente, a un certo punto, comincia a scollegarsi.
Il meccanismo del doppio legame crea un cortocircuito nella mente di chi lo vive poiché il modo in cui i nostri genitori ci parlano da bambini diventa il modo in cui pensiamo, diventa la nostra voce interiore.
Se i miei genitori comunicano con me in modo contraddittorio, se c’è un’aporia del sistema, una falla, allora la mia mente va in cortocircuito e non riesce più ad aderire al piano di realtà. Si perde a misura delle cose. La mente non ha più la sua lucidità e il rischio è quello di arrivare anche a comportamenti squilibrati che conducono verso derive psicotiche e in parte anche psicopatiche.
È interessante notare come a tutto questo si associno anche altri disturbi come le psicosomatizzazioni e gli attacchi di panico improvvisi. Quando la mente non riesce più a elaborare i suoi contenuti mentali ed emotivi, non ha facoltà di comunicarli verso l’esterno. Ma quei contenuti conflittuali, soffocati e rimossi, emergono attraverso le somatizzazioni: Il corpo dà voce al disagio interiore.
Quando un genitore, in modo del tutto inconsapevole, ci passa questa modalità di comunicare errata e patologica, si verifica anche un completo isolamento della persona. Proprio come avviene a Romand. In apparenza, egli è perfettamente integrato nel tessuto sociale in cui vive, è un cittadino modello, stimato e benvoluto dai colleghi, con solide relazioni di amicizia. In realtà, però, nessuno lo conosce davvero, nessuno sa chi sia, quali siano i suoi pensieri e le sue emozioni.
È talmente scollato da tutto, che nemmeno lui si conosce davvero.
L’Avversario: il diavolo e l’Ombra
Un’ultima osservazione prima di lasciarci riguardo il titolo. L’Avversario di cui parla Carrère è il diavolo, l’angelo ribelle caduto, l’incarnazione del male e dell’oscurità.
Da un punto di vista psicanalitico, potremmo associarlo all’Ombra, l’insieme delle tendenze non sviluppate della nostra personalità, il lato oscuro della nostra psiche.
È un concetto elaborato da Jung che specifica anche che se trascurerai gli istinti (intesi come la parte più oscura d te), verrai umiliato dagli istinti. Questo perché negare l’ombra, soffocare la nostra parte istintuale, la rende soltanto più potente.
Se io non affronto le mie difficoltà, se non le elaboro, se non le lascio emergere per far loro prendere un po’ di lui e nego costantemente una parte di me, mettendola nel grande recipiente dell’ombra, non faccio che alimentarla. Alla lunga essa prenderà il sopravvento sulla mia personalità. Ecco che la dinamica del doppio legame si innesta anche su questa negazione degli aspetti più oscuri e conflittuali. E porta anche alle conseguenze terribili descritte ne “L’Avversario”.
in copertina: una scena del film “L’Avversario” (2002) diretto da Nicole Garcia e ispirato al romanzo di Carrère