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Psicologia
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Articolo a cura del dottor Simone Ordine, psicologo e psicoterapeuta
La lamentela è una forma di comunicazione che tutti conosciamo e di cui abbiamo fatto esperienza nella nostra quotidianità. A molti sarà capitato, almeno una volta, di conoscere una persona che si lamenta in modo costante di tutto quello che gli capita, delle difficoltà e degli eventi incidentali così come di quello che la circonda, del contesto in cui si trova a vivere. Forse, tra i nostri amici o anche in famiglia, abbiamo un lamentoso cronico che vede sempre tutto nero e coglie ogni occasione per compiangersi.
Lamentela e sfogo: due modalità comunicative diverse
Indice
È necessario evidenziare che la lamentela è qualcosa di diverso rispetto allo sfogo che si può avere con un amico, un familiare o anche con il terapeuta durante una seduta. Lo sfogo consente di confidare all’altro i propri pensieri, sentimenti e preoccupazioni, permette di allentare una tensione interna, di decomprimere e trovare un po’ di sollievo. Parlare con qualcuno che ci ascolta e comprende ha un effetto catartico.
Inoltre, quando esterno i miei problemi traducendoli in parole, posso operare una distinzione tra me stesso e l’elemento dello sfogo. In un certo senso, posso dis-identificarmi e oggettivizzare il problema. In questo modo, non sono più preda delle emozioni e del flusso di pensieri, riesco a distaccarmene e a osservarli dall’esterno.
Per questo, lo sfogo ha anche un valore profondamente terapeutico.
La lamentela, invece, non ha nessuna di queste caratteristiche. Chi la usa, la adotta come un modello di vita, un modo (perdente) di affrontare i problemi. La lamentela, a differenza dello sfogo, non è qualcosa di estemporaneo e breve, ma assume i caratteri di uno schema che si ripete nel tempo.
Diversi autori e varie scuole di pensiero hanno dedicato degli studi a questa modalità comunicativa. Secondo Renzo Carli e Rosa Maria Paniccia, psicoterapeuti romani che hanno fondato il filone di studi di analisi della domanda, la lamentela è una neoemozione cioè un automatismo emotivo che è l’effetto di una certa struttura di personalità e di un certo tipo di assetto difensivo.
L’assetto difensivo di chi si lamenta sempre
L’assetto difensivo di chi ha fatto della lamentela il proprio stile di vita è basato in buona sostanza su tre elementi, tre principi dinamici inconsci:
- Il vantaggio secondario di non affrontare veramente il problema
- L’illusione di poter delegare a qualcun altro quel problema
- La possibilità di apparire all’altro come un martire
Vediamo di approfondire questi aspetti. Innanzitutto, la persona che si lamenta in modo costante, non fa altro che esprimere una serie di emozioni negative suscitate da quello che vive, senza impegnarsi a trovare una soluzione ai propri problemi. È la lamentela stessa il suo modo di affrontare il disagio che prova.
Allo stesso tempo, la sua continua lagnanza nasconde un tentativo inconscio di delegare all’altro la risoluzione del problema, scaricandogli addosso le sue responsabilità, evitando l’impegno e la fatica previsti per ottenere un cambiamento.
Colui a cui ci si rivolge viene idealizzato, su di lui viene proiettata una fantasia che lo rende la persona più adatta ad affrontare la situazione e a trovare un modo per dare sollievo al malessere sperimentato. Inoltre, la lamentela sostituisce la quantità alla qualità: alla sua base vi è l’idea, fondamentalmente errata, che reiterando la litania, qualcosa dovrà pur accadere.
Inoltre, chi si lamenta in modo costante assume l’atteggiamento del martire, che è un modo per apparire importante agli occhi dell’altro, quasi come un eroe tragico che sopporta i mille colpi dell’esistenza.
Le conseguenze della lamentela
La lamentela ha pesanti conseguenze sul nostro stato fisico e mentale. È in grado di operare delle vere e proprie modificazioni nel nostro corpo e sulla nostra mente.
Studi di neuroscienze hanno dimostrato che la lamentela è in grado di danneggiare i nostri neuroni in modo costante e progressivo. In particolare, quando il cervello è in stato di lamentela subisce delle modificazione neurofisiologiche che riguardano l’inibizione dell’ippocampo, una struttura del di-encefalo deputata alla risoluzione del problemi. In parole semplici, viene depotenziata la nostra capacità di vedere soluzioni.
Lamentarci sempre ci impedisce di trovare una via d’uscita alle situazioni in cui ci troviamo.
Dal punto di vista psicologico, invece, quando ci lamentiamo, assumiamo un atteggiamento vittimistico ed è come se continuassimo a ripetere agli altri e, soprattutto, a noi stessi che non siamo in grado di fare qualcosa, che non ci sentiamo all’altezza, che non valiamo nulla e ci sentiamo completamente impotenti di fronte alla realtà. Questo modo di comportarci non fa che convincerci della nostra inadeguatezza, abbattendo l’autostima e il senso di autoefficacia (self-efficacy).
Dal punto di vista energetico, quando ci diamo alla lamentela, facciamo fluire le nostre energie mentali e i pensieri verso una strada senza uscita, ritrovandoci senza forze, davvero incapaci di reagire e fare qualcosa.
Un altro spunto interessante riguardo la questione della lamentela ci viene da Ekhart Tolle, scrittore e oratore tedesco, estremamente conosciuto per il suo libro “Il potere di Adesso”. Tolle, infatti, evidenzia come la lamentela per un qualsiasi aspetto della vita – pensiamo, per esempio, alle critiche verso gli altri – cela al suo interno il desiderio di sentirsi superiori, la volontà di avere sempre ragione e di evidenziare errori e mancanze altrui.
Attraverso il lamento, alcuni individui cercano di tenere a galla la propria precaria autostima, senza rendersi conto di quanto sia illusoria la sensazione che provano.
Il lamentoso cronico è prigioniero di un circolo vizioso. I pensieri lamentosi generano emozioni negative quali tristezza, rabbia, frustrazione, ansia che, a loro volta, determinano pensieri ancora più cupi. In questo modo, il circolo si sostiene e auto-alimenta, perpetuandosi all’infinito.
Il rischio è che, a lungo andare, questa dimensione di lamentela diventi la realtà e che il soggetto la faccia sua, facendola diventare la storia della propria vita, tragica, maledetta ed eroica. Si crea come una falsa identità, poiché l’individuo fonda il proprio senso di sé su tutto questo.
Come uscire dalla dinamica della lamentela?
Le persone che si lamentano costantemente danneggiano sé stesse. Non soltanto perché rimangono invischiate in una modalità che impedisce loro di agire ma anche perché si fanno terra bruciata intorno, allontanando da sé le persone care, che non riescono a sostenere questo tipo di comportamento reiterato nel tempo.
Come fare allora?
In questi casi, la psicoterapia può rivelarsi la strada più adeguata per risolvere il problema.
Chi assume la lamentela come modalità di vita, di fatto non riesce a distinguere tra l’evento e l’effetto che quell’accadimento ha su di lui. Non si accorge che un conto è l’evento in sé, un altro i pensieri e le emozioni che prova, il suo modo di reagire alla situazione, di viverla ed elaborarla. I
l terapeuta ha il compito di aiutare questa persona a prendere consapevolezza del meccanismo perverso nel quale si trova incastrata. Una volta che la persona riesce a vedere l’ingranaggio della trappola, è più difficile che ci metta dentro il piede. In un secondo momento, può essere utile anche intraprendere una terapia di gruppo per elaborare questa modalità relazionale disfunzionale.