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Psicologia
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articolo a cura del dottor Simone Ordine, psicologo e psicoterapeuta
Più volte, in accordo con la psicoterapia di stampo esistenzialista, abbiamo affermato che un terapeuta può trarre grande giovamento dalla lettura di testi che esulano dal suo campo.
La letteratura, così come la filosofia, rappresenta un bacino enorme di spunti di riflessione, suggestioni, che possono essere riportate all’interno della seduta e che possono rappresentare un modo per spiegare in modo efficace e immediato alcune dinamiche psicologiche.
Un esempio che credo renda bene l’idea è rappresentato dal racconto “Davanti alla Legge” di Franz Kafka.
Davanti alla Legge, il racconto e il suo significato psicologico
Indice
Davanti alla legge è il titolo di un breve racconto incastonato all’interno del famoso romanzo “Il processo” pubblicato nel 1925. Ha la forza evocativa di un antico mito greco e in esso sembra concentrarsi l’essenza dell’intero romanzo.
La storia, forse, ti è già nota, ma voglio comunque raccontartela in breve.
Protagonista di questa vicenda è un uomo di campagna che si presenta di fronte alla porta della Legge, intenzionato a varcare quella soglia. Di fronte all’ingresso, però, c’è un guardiano, un gigante che gli impedisce di proseguire oltre. Per quanti sforzi l’uomo possa fare, tutto appare inutile. Il guardiano, anzi, gli dice espressamente che anche qualora riuscisse a superarlo, dopo di lui troverebbe altre sentinelle, ancora più potenti e terribili, così spaventose che lui stesso non potrebbe reggere la vista neanche del terzo di essi. L’uomo cerca di convincerlo, poi di corromperlo offrendogli tutto quello che ha, ma non serve.
Tutta la sua vita trascorre così, di fronte a quella porta.
Soltanto alla fine, quando ormai è vecchio, stanco e malato, l’uomo ha una sorta di illuminazione e con le ultime energie che gli restano fa una domanda: “Tutti si sforzano di arrivare alla Legge e allora come mai nessuno in tanti anni, all’infuori di me, ha chiesto di entrare?”. Il guardiano, vedendo che ormai l’uomo sta per morire, gli grida a gran voce in risposta: “Nessun altro poteva ottenere di entrare da questa porta, a te solo era riservato l’ingresso. Ora vado e la chiudo”.
Quest’opera letteraria esprime in modo estremamente potente ed evocativo il rapporto problematico dell’individuo con il Super-Io, quell’istanza intrapsichica che, secondo Sigmund Freud, ha tre funzioni principali: prescrivere, proscrivere e rappresentare l’ideale dell’Io, il modello a cui aspiriamo di adeguarci in qualche modo.
Bisogna evidenziare che il Super-Io non è uguale per tutti. Esso, infatti, si forma attraverso un particolare processo cioè introiettando la figura dei propri genitori. In modo più specifico, quello che viene introiettato è il genitore arcaico, cioè la madre e il padre così come vengono vissuti durante l’infanzia, quando siamo molto piccoli e i genitori ci appaiono quasi come onnipotenti.
È la loro personalità, in qualche modo, a plasmare e dare forma al nostro Super-Io. Se un genitore è particolarmente severo, rigido, intransigente o addirittura maltrattante e svalutante, quello che si forma spesso è un Super-Io molto potente, a volte persino sadico.
Il genitore che assume un atteggiamento svalutante nei confronti del bambino, infatti, fa sì che il figlio elabori un’immagine di sé fortemente inadeguata. Quel bambino sentirà di non poter mai essere all’altezza, Per quanti sforzi facciano, non ha alcuna possibilità di raggiungere l’ideale dell’Io che si è formato. Questo perché l’atteggiamento svalutante del genitore non si lega a dei dati di realtà, a delle caratteristiche del bambino che, invece, percepisce sé stesso come sbagliato.
La porta della Legge attraverso la quale vuole passare l’uomo di campagna può essere interpretata come l’ideale dell’Io, un traguardo che egli desidera ardentemente di raggiungere e al quale, però, non può in alcun modo avvicinarsi.
Egli passa tutta la vita nel tentativo di varcare la soglia, di uniformarsi all’ideale, di saturare l’aspettativa che ha dentro di sé, dettata dal Super-Io. Di fatto, però, trascorre la propria esistenza in soggezione di un’illusione fallace, dominato da una chimera. Egli crede che quella sia la Legge, con la L maiuscola. In verità, però, non si tratta della vera legge, ma della legge che porta dentro di sé, quella che gli hanno dato i suoi genitori.
Scegliendo questa chiave di lettura, cosa rappresentano gli innumerevoli guardiani che stanno dietro il primo e fanno ancora più paura?
Potremmo dire che raffigurano tutti quei momenti in cui ci confrontiamo con il nostro Super-Io. In particolare, il Super-Io si rivede in tutti i rapporti con le istituzioni, in tutte quelle situazioni asimmetriche in cui ci troviamo di fronte a qualcosa di più grande e sentiamo di non poter procedere oltre. Come quando sei all’università, sai che devi laurearti in tempo, altrimenti sarai bloccato per mesi, dovrai pagare altre tasse, resterai indietro eppure non riesci a dare l’esame perché hai troppa paura.
Quale è la soluzione a tutto questo?
Imparare a lasciar andare anziché combattere
Invece di spendere la nostra esistenza in un’operazione inutile, vittime di un’ossessione nevrotica che ci paralizza e che non ha alcuna verità di fondo, dovremmo concederci di vivere, di fare esperienze, di amare, di viaggiare.
La soluzione non è affrontare direttamente il problema, prenderlo di petto, ostinarci a combattere. Perché quando reagiamo, non facciamo che dare maggior forza ai fantasmi della nostra mente, alle ossessioni che ci dominano.
Nutriamo il nostro corpo di dolore.
Per usare un riferimento non più letterario ma cinematografico, pensiamo al film “A beautiful mind”. Il protagonista, il matematico John Forbes Nash, interpretato da Russel Crowe, è affetto da una grave forma di schizofrenia che gli fa avere delle allucinazioni.
Quando cerca di scacciarle, quei fantasmi si rafforzano e la malattia prende il sopravvento. Quando, invece, non cerca di resistergli, riesce in qualche modo a trascenderli.
La soluzione, dunque, è imparare a lasciar andare.