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Psicologia
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Testo a cura del dottor Simone Ordine, psicologo e psicoterapeuta
Questo articolo nasce da una riflessione, maturata sulla base di studi, letture e della mia esperienza personale con i pazienti, nel corso di decine di percorsi di psicoterapia.
A parer mio, il senso di colpa si fonda su tre diversi paradossi.
1° paradosso del senso di colpa
Indice
Primo paradosso: il senso di colpa esiste, ma la colpa no. Da un punto di vista psicoanalitico, la colpa può essere considerata come una superstizione, una creazione della mente.
Pensiamoci bene.
La colpa esiste per la giurisprudenza, è uno dei fondamenti del sistema di leggi necessarie a tenere in piedi l’assetto della nostra società. Aprendo il codice penale, si può leggere l’articolo 43 da cui si ricava il concetto di colpa: “il reato è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per l’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”.
Ma quel che intendiamo per colpa cambia da luogo a luogo e da cultura a cultura, si basa su una convenzione.
La psicanalisi, però, ci rivela che non esiste l’uomo senza inconscio, che l’essere umano non è trasparente a sé stesso e, soprattutto, come diceva Sigmund Freud, che l’Io non è padrone in casa propria. Tutti noi siamo mossi da forze sulle quali non abbiamo alcun controllo perché si tratta di forze che agiscono al di sotto della soglia della nostra coscienza, di cui non siamo consapevoli. Nella nostra psiche esistono istanze su cui non abbiamo potere. Allora, è assurdo attribuirci la colpa per azioni che commettiamo spinti da queste forze.
2° paradosso del senso di colpa
Secondo paradosso: quando mi sento in colpa, non è perché ho mancato nei confronti di qualcuno ma perché qualcuno ha commesso una mancanza nei miei confronti.
Tutta la letteratura psicanalitica ci porta a comprendere che all’origine del senso di colpa c’è, molto spesso, una famiglia che non ha saputo dimostrare appieno amore nei confronti del figlio (o della figlia).
Quando il bambino non si sente accolto e accettato dai propri genitori, quando madre e padre non sono in grado di accudirlo e di soddisfarne i bisogni profondi, è come se il figlio cominciasse a domandarsi: “Cosa ho fatto di male per non essere amato dai miei genitori? Cosa c’è che non va in me? Cosa ho io di sbagliato?”.
Non sono domande consapevoli, ma un processo che avviene in modo inconscio e che porta l’individuo a cercare in ogni modo di rimediare a un errore che, in realtà, non ha mai commesso. Il bambino, a questo punto, assume un falso sé, adattandosi ai bisogni dei propri genitori, rinunciando alla propria spontaneità e autenticità, mettendo da parte il proprio desiderio in favore del desiderio dei genitori.
Questa dinamica dimostra che il senso di colpa che avvertiamo è slegato dalla correttezza morale del nostro comportamento. Chi si sente in colpa, si sente più o meno appresso in modo inversamente proporzionale al modo in cui è stato amato.
3° paradosso del senso di colpa
Terzo e ultimo paradosso: se mi sento in colpa per aver commesso una certa azione che ritengo sbagliata, il mio senso di colpa mi costringerà a ripetere quell’azione sbagliata.
Quando avverto la colpa, volto le spalle alla possibilità di comprendere la concatenazione di causa ed effetto, la dinamica che mi ha indotto a compiere quell’azione sbagliata e condanno me stesso a ripetere quella stessa azione. Prevale dentro di me un assunto mentale che mi impedisce di prendere coscienza e quindi di evolvermi verso un comportamento più adeguato.
Il senso di colpa mi blocca nella colpa.