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Psicologia / Psicoterapia
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Le lacrime di Nietzsche sono un canto di liberazione: dopo aver condotto un’intera esistenza all’insegna di una solitudine sdegnosa, fondata sull’idea che gli esseri umani rappresentino soltanto una distrazione sul cammino della perfezione, il filosofo si concede la fragilità delle lacrime e l’apertura terapeutica all’altro.
Con il romanzo Le lacrime di Nietzsche, mescolando notizie reali e fantasia, Irvin Yalom torna alle origini della psicoterapia con l’intento non di ricostruire un quadro credibile e storicamente esatto, ma di proporre una riflessione a tutto tondo sull’essere umano. Il tutto prendendo a protagonisti della propria narrazione due personalità esemplari: Nietzsche, filosofo del superomismo e della volontà di potenza e Breuer, maestro di Freud e precursore della psicanalisi.
Nietzsche e Breuer: storia di un incontro mai avvenuto
Indice
Nel 1882, a Vienna, si consuma l’incontro fatidico tra due menti e due interiorità, ciascuna con il proprio personale portato di afflizioni: da un lato Josef Breuer, stimato medico e psichiatra, un uomo all’apice del successo, dalla vita perfettamente convenzionale; dall’altro Friedrich Nietzsche, profeta postumo, autore già della Gaia scienza e di Umano, troppo umano, libri sconosciuti ai più e densi delle sconcertanti verità di colui che proclamava la morte di Dio. Ad unirli Loù Salomè, la bellissima donna russa che con il filosofo aveva intrattenuto una breve, intensissima relazione, tanto significativa da gettarlo nella più nera prostrazione una volta troncata.
Potrebbe trattarsi della storia di un uomo qualunque ed è forse questa la forza di un romanzo tanto semplice quanto rivelatore: la possibilità di identificarsi perfettamente in questi uomini che, nella loro grandezza, vivono sulla propria pelle esattamente gli stessi drammi degli uomini comuni, le stesse ossessioni, i lutti e le lacerazioni interiori che la vita presenta a ciascuno.
Il dramma doppio de “Le lacrime di Nietzsche”
Sebbene il titolo parli delle lacrime di Nietzsche, infatti, quello cui assistiamo nel testo è un dramma doppio: l’uomo che vorrebbe curare Nietzsche è afflitto, in definitiva, dallo stesso male, che dorme silenzioso appena sotto la soglia della sua vigile coscienza.
Nel momento in cui, con un inganno, propone al filosofo un accordo – quello di sottoporsi egli stesso ad una sorte di “terapia filosofica” per sottrarsi alla disperazione – così da potersi insinuare surrettiziamente nell’intimo di colui che in nessun modo si sarebbe prestato a confidenze e intimità, Breuer scoperchia l’abisso dentro di sé e scopre di non dover inventare alcunché per rendere verosimile la sua storia: egli è, effettivamente, preda della disperazione, intrappolato in una vita che sente di non aver scelto e di cui non comprende più il senso.
Il terapeuta è messo a nudo, progressivamente portato a esplicitare tutti quegli autoinganni e trappole che si è costruito da solo, a partire dall’illusione di poter trovare sollievo dal proprio matrimonio fallimentare nella fuga con un’altra donna, proprio la paziente con cui ha sperimentato per la prima volta “la cura del parlare”.
Il terapeuta, vittima del controtransfert, ha ceduto alla lusinga del potere, abdicato alla propria responsabilità, cercando nell’adorazione tributatagli dalla sua paziente la via per colmare il proprio vuoto, sfruttandone la dipendenza per acquisire una superiore forza. Soltanto un evento esterno, la gelosia della moglie, lo ha allontanato da quel circolo vizioso creato per alimentare la propria illusione di autosufficienza.
Yalom, attraverso la figura di Breuer, mette così in guardia dalla caduta in una falsa terapia e punta l’attenzione su quella che è una vera relazione terapeutica, in cui entrambi i termini dell’equazione si fronteggiano in una situazione di parità e di rispetto, senza sopraffazione.
Così quando il filosofo cerca di “attaccare” l’ossessione del suo improvvisato paziente adottando i metodi di una psicologia di tipo comportamentista, con quelli che vengono definitivi “ingegnosi piccoli espedienti punitivi”, Breuer si sente “come un orso addestrato a reggersi in piedi e danzare”. Non c’è autenticità e lo stesso Nietzsche si rende conto di aver usato “metodi animali per problemi umani”, svilendo al contempo l’altro e sé.
La cura “funziona” solo nel momento in cui, sospeso il giudizio, i pensieri e le emozioni possono fluire liberamente come le lacrime, prima di Breuer e poi di Nietzsche.
C’è un’altra importante lezione, tra le ultime pagine de “Le lacrime di Nietzsche”: non esiste una panacea di tutti i mali che possa porre rimedio a qualsiasi dolore. Vi è la necessità di intraprendere un percorso che non sia la riproposizione di quello altrui, ma il proprio singolare cammino di scoperta, un’esperienza emotiva integrale nella quale nessuno può sostituirsi a noi.
Le lacrime di Nietzsche e la psicoterapia
ultima modifica: 30/11/2016
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