Anoressia e Bulimia 14 Giu 2017

BY: admin

Psicologia

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Intendere i cosiddetti disturbi alimentari, e in particolare anoressia e bulimia nervose, come disturbi dell’appetito e mere disfunzioni di natura organica significa semplificare notevolmente una questione che va ben al di là dell’aspetto puramente materiale.

Con L’ultima cena: anoressia e bulimia Massimo Recalcati le definisce come malattie d’amore, sottolineando la rilevanza della dimensione affettiva nello scatenamento di questi mali che, pur manifestandosi nel corpo, rappresentano un’immagine del mondo interiore dell’individuo che li sperimenta.

Già Winnicott aveva rilevato come i disturbi alimentari nell’infanzia siano correlati al sentimento di dubbio del bambino nei confronti dell’amore materno: la madre nutre e insieme al cibo dovrebbe trasmettere il dono delle cure e dell’attenzione verso il bambino come essere unico e irripetibile.

Nel momento in cui il dono dell’affetto disinteressato viene a mancare ecco che il disagio provato, il senso di vuoto, trova via di espressione nel fisico.

Anoressia e Bulimia

Il rapporto con i genitori, in particolare con la madre, è causa prima dell’insorgere dell’anoressia che nasconde nella “non fame” alimentare una fame d’amore insoddisfatta da parte di una madre ipercontrollante, che proietta sulla figlia aspettative e desideri propri, trasformandola in un’estensione psichica e fisica di sé, impedendole uno sviluppo sereno ed armonico della propria dimensione soggettiva.

La figlia, spesso adolescente, è messa così nella condizione di dare soddisfazione all’altro, rinunciando a sé e l’unica manovra che può mettere in atto per tentare di riprendere il controllo sulla propria esistenza è proprio il rifiuto dell’alimentazione, di un cibo materiale che non nutre intimamente: la figlia vive la contraddizione tra desiderio di vicinanza e bisogno della madre e necessità di distaccamento per raggiungere la propria autonomia di soggetto.

L’anoressia come anestesia affettiva

Scrive Recalcati in Amoressia “L’adolescente dice di no al cibo perché non si accontenta che le venga dato solamente ciò che l’altro ha. La sua domanda, in quanto domanda d’amore, è al di là del registro dell’avere. Non è una domanda di qualcosa, ma una domanda speciale: è domanda che l’altro mi doni la sua mancanza.” Di fronte all’impossibilità di essere amata per quel che è, l’anoressica si chiude in un rifiuto del mondo esterno e in particolare delle relazioni affettive di cui il cibo è il simbolo, arriva ad una forma di anestesia affettiva, concentrandosi completamente su sé stessa.

Se l’altro non è in grado di amare e di donare in modo disinteressato da esso ci si distacca, cercando di raggiungere una posizione di supremazia e padronanza di fronte ad una situazione verso la quale ci si sente impotenti. Si arriva in tal modo ad un godimento paradossale perché fuori dalla logica del bisogno e dell’autoconservazione, un godimento del vuoto che l’astinenza crea e mantiene grazie ad una scarica di adrenalina, che si diffonde nel corpo e annienta la sensazione di fame. Il rifiuto del cibo, inoltre, si lega alla ricerca di un ideale dell’io che ha a che fare con un modello del corpo non realizzabile, con un’immagine che può essere risolta soltanto sul piano mentale: ciò spiega perché chi soffre di anoressia non si vede mai “troppo magro”, spingendosi fino al limite estremo tanto da mettere a repentaglio la propria vita.

Bulimia, l’altra faccia del bisogno d’amore

Il rapporto umano con il cibo, infatti, non riguarda esclusivamente il bisogno fisiologico di sostentamento ma si trasforma in veicolo di significati familiari, sociali e relazionali, tramite simbolico delle emozioni vissute. L’altra faccia della medaglia è la bulimia, il nutrimento compulsivo che non porta mai alla sazietà e manifesta in questo modo un vuoto estremo ed incolmabile, che non può essere riempito perché il tipo di riempimento che si ricerca è di tipo emotivo.

La bulimica cerca un sollievo impossibile poiché estrinseca sul piano materiale e concreto un bisogno intimo: l’atto del mangiare, più che l’alimento, è lo strumento attraverso il quale si ricerca la soddisfazione, un atto che si estremizza e patologizza proprio perché non può risolvere le mancanze percepite, soltanto tradursi in una pallida imitazione, un palliativo momentaneo.

Il cibo non è altro che la magra compensazione di un amore mancante. Di conseguenza i disturbi del comportamento alimentare devono essere affrontati ponendosi dall’ottica corretta, concependoli come disturbi relazionali prima che come patologie di natura organica e promuovendo, dunque, la riattivazione del mondo affettivo mutilato.

Anoressia e bulimia: malattie d’amore
ultima modifica: 14/06/2017
da Centro di psicologia e psicoterapia La Fenice

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