Massimo Recalcati 28 Set 2016

BY: admin

Psicologia

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Cosa fa di un maestro un buon maestro, qualcuno in grado di insegnare cioè di lasciare un segno, di imprimere una forma su una vita? È sostanzialmente questo il grande tema intorno al quale riflette Massimo Recalcati nella sua lectio magistralis dal titolo “Elogio del fallimento”, in occasione del ciclo “Il piacere del testo”. Una questione che sembra lontanissima dal titolo del suo intervento, e che – invece – lo centra perfettamente.

Massimo Recalcati, elogio del fallimentoCiò che ci forma, dice Recalcati, sono gli incontri, il venire a contatto con l’altro che può permettere o meno un allargamento del proprio orizzonte, un ampliarsi delle possibilità o un loro restringersi improvviso poiché non tutti gli incontri sono “buoni” (potremmo dire “fertili”). Alcuni possono configurarsi come un trauma, quel tipo di esperienza che annichilisce e porta la vita a chiudersi su sé stessa in una eterna ripetizione. Ma tutti, in un modo o nell’altro, lasciano un’impronta indelebile.Luogo privilegiato di questa formazione è, ovviamente, la scuola: professori, compagni, istituzioni, libri… i soggetti che si vanno ad incontrare tra i banchi, nei corridoi, in quel periodo della vita in cui si è più ricettivi e plasmabili, sono molteplici e ognuno ha una sua importanza.

Elogio del fallimento: l’incontro con il maestro

Fondamentale, però, è l’incontro con il maestro, che non si riconosce per le nozioni che spiega a lezione (o che non spiega), per il sapere di cui si dovrebbe far portatore alle nuove generazioni ma per la forma che sa darvi, per quella scintilla che sa far scattare nell’altro. È colui o colei che ama profondamente quello che insegna tanto da riuscire a trasmettere non la cosa in sé ma la passione per essa, trasformandola quindi in un corpo erotico. Il sapere diviene così non tanto un oggetto teorico algido e inerte quanto un oggetto del desiderio e l’allievo passa dalla condizione di semplice contenitore da riempire a quella di amante. Sta tutta qui l’erotica dell’insegnamento, nella capacità di sostituire il vuoto al pieno instillando nell’altro il desiderio. “Gli studenti non sono vasi da riempire ma fiaccole da accendere” recita un celebre motto, attribuito nel corso del tempo a più pensatori diversi, ed è questo – a prescindere dalla paternità della frase – il cuore del discorso educativo.

C’è un breve episodio del Simposio di Platone che illumina questo concetto: nella scena di apertura del dialogo Socrate si perde in un cortile, folgorato dalla Verità che gli ha parlato, e arriva in ritardo al banchetto allestito da Agatone. Questi gli chiede di poterglisi sedere vicino “perché in questo modo ti offrirò la mia testa come una coppa vuota e tu maestro verserai in questa coppa il sapere che la verità ti ha trasmesso”. Agatone, quindi, pensa che il sapere possa quasi trasmettersi per osmosi e che, ad un certo punto, si possa essere colmi di questo sapere, proprio come il maestro che rappresenta nella sua ottica un modello di perfezione cui attingere. Ma Socrate, con un’unica frase, riesce a far franare questa certezza granitica e a consegnare all’allievo l’insegnamento più importante ““Io sono vuoto come te e come te desidero sapere”: non esiste pienezza, non si può detenere il sapere nella sua totalità e anzi, chi vuole dare ad intendere di possederlo integralmente spesso è soltanto pieno di sé. È la coscienza del limite a far scattare la leva della tensione interiore verso qualcosa in più, nasce così il movimento e con esso la vita e l’amore. Perché ogni buon incontro, dice Recalcati, è un incontro d’amore che spalanca il mondo e la vita.

Elogio del fallimento: l’errore che crea

Da qui passa l’elogio del fallimento e della devianza rispetto ad un tracciato predefinito: l’insegnamento non è plagio e il buon insegnante è colui che riesce a valorizzare l’unicità dell’allievo. Nel tempo dell’efficienza delle macchine che colonizza anche il mondo umano, delle scuole che devono assomigliare sempre di più a delle aziende per allinearsi con le richieste del mondo del lavoro, c’è bisogno di ribadire l’importanza del tempo lungo della formazione, del tempo vuoto del riposo che sia dedicato a leggere, a scrivere, a pensare perché il pensiero è un processo che richiede quel vuoto. Non bisogna raddrizzare e uniformare perché ciò significherebbe appiattire completamente l’individuo che sta dietro il “ruolo” di allievo e impedire la nascita del nuovo. Il gesto creativo nasce nel vuoto.

Di qui passa la necessità di trasformare i libri in corpi, amati e desiderati e i corpi in libri, oggetti del desiderio e della cura cui dedicare più di un breve istante.

Per approfondire questo tema si può far riferimento a Massimo Recalcati, “L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento”.

Elogio del fallimento: Massimo Recalcati
ultima modifica: 28/09/2016
da Centro di psicologia e psicoterapia La Fenice

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