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Psicoterapia
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Esercitare la professione dello psicologo o dello psicoterapeuta comporta dei rischi per la propria vita personale e soprattutto relazionale. Potremmo parlare di veri e propri pericoli psichici, che devono essere conosciuti per poter prendere adeguati provvedimenti.
L’esaurimento delle risorse emotive
Indice
Il terapeuta fa un tipo di lavoro in cui entrano in gioco l’ascolto profondo, il contatto, la relazione. Questo comporta un ingente investimento di risorse emotive. Al punto che, in alcuni casi, si potrebbe arrivare a esaurire quelle energie, sentendosi quindi svuotati, poco disponibili nei confronti della propria famiglia, del proprio partner e dei propri figli. Alla fine di una lunga giornata di lavoro con tanti pazienti diversi, a contatto con la sofferenza di queste persone, all’interno di relazioni molto intense e attive, il terapeuta potrebbe sentire il bisogno di uno spazio di solitudine per ricaricarsi.
Questo rischia seriamente di compromettere i rapporti, di minare la serenità della propria famiglia.
Comunicazioni intense vs conversazioni banali
C’è poi un rischio di cui parla anche Irvin Yalom nel suo splendido libro “Il dono della terapia”.
Il terapeuta che trascorre tutta la sua giornata lavorativa immerso in comunicazioni molto intense e coinvolgenti dal punto di vista mentale ed emotivo, potrebbe arrivare a considerare banali, superficiali, troppo leggere tutte le altre conversazioni, quelle con gli amici, con il proprio compagno o compagna, con la famiglia.
Il rischio è quello di arrivare al punto di trovare maggiore soddisfazione nel proprio lavoro che nei rapporti della vita quotidiana, che potrebbe risultare meno intensi.
Questo può creare davvero dei problemi relazioni importanti per il terapeuta. Finirebbe col perdere la rete umana che lo circonda, arrivando a immergersi completamente nel lavoro, facendosi risucchiare del tutto dal proprio ruolo.
Scrive Yalom: “Troppo spesso noi terapeuti trascuriamo i nostri rapporti personali. Il nostro lavoro diviene la nostra vita. […] La concezione del mondo del terapeuta è di per sé isolante. Quelli con maggiore anzianità di lavoro vedono i rapporti in modo differente, qualche volta perdono la pazienza verso i rituali sociali e la burocrazia, non riescono a sopportare rapporti fugaci e poco profondi e il chiacchiericcio di molte riunioni sociali”.
Identificarsi con il proprio ruolo
Altro rischio da tenere a mente e da cui stare in guardia: quello di identificarsi completamente con il proprio ruolo di terapeuta.
È vero che il terapeuta, quando esce dallo studio e torna a casa, non smette di essere una persona mediamente consapevole di meccanismi e processi mentali, propri e altrui. Quello del terapeuta non è soltanto un mestiere, ma un modo di essere. Quando si intraprendere questa professione, non si applicano semplicemente delle tecniche apprese alla scuola di psicoterapia, si inizia un percorso personale che porta a un’evoluzione e a una maggiore consapevolezza.
Proprio questa consapevolezza dovrebbe consentirmi di non identificarmi completamente con il ruolo che ricopro.
Farlo significa trascinare con sé al di fuor del setting una modalità comunicativa, un approccio, un modo di rapportarsi agli altri. Si finisce, senza rendersene conto, a portare le conversazioni su un piano interpretativo, molto spostato in una dimensione del processo, simbolica e interpretativa.
Tutto questo crea chiaramente dei gravi problemi nell’ambito relazionale.
Il terapeuta non dovrebbe usare le proprie competenze con amici e familiari. Una moglie, un marito, degli amici possono sentirsi molto a disagio nel notare che stai analizzando e interpretando le dinamiche in atto tra di voi.
Naturalmente, non c’è una levetta per fare switch, passando da terapeuta a non terapeuta. Non abbiamo un interruttore magico che spenga le nostre facoltà. Dobbiamo lavorare su noi stessi per non cadere in questo tipo di trappola.
Il controtransfert
Come abbiamo già detto, nel corso della pratica quotidiana, seduta dopo seduta, il terapeuta entra in contatto costante con la dimensione del dolore, del disagio mentale, della solitudine, dell’angoscia.
Questo naturalmente è valido anche per chi svolge una professione medica.
Ma mentre il dottore può riuscire ad alzare una barriera emotiva, concentrandosi soltanto sugli aspetti organici dei problemi dei propri pazienti, al terapeuta questo non è consentito.
Qui entra in gioco il controtransfert, cioè tutte quelle emozioni e quei vissuti che il terapeuta vive in connessione con i propri pazienti.
Il controtransfert è un’arma a doppio taglio.
Se gestito male, può arrecare profondo disagio al terapeuta, portandolo sull’orlo della crisi. Se gestito bene, invece, può costituire un varco per vivere una vita più intensa e significativa.
Stare in contatto con il dolore altrui, è un’occasione per prendersi cura delle proprie fragilità, poiché quelli in cui sentiamo dolore sono i punti in cui siamo stati già feriti. Davanti alla sofferenza dell’altro, sentiamo bruciare di nuovo le cicatrici del passato.
È fondamentale, dunque, che all’interno di questo processo, il terapeuta si prenda cura non soltanto del paziente, ma anche di sé stesso.
Per questo, è importante che questo tipo di processo venga accompagnato da una supervisione individuale, dove il terapeuta si rivolge a un collega più anziano o più esperto per essere seguito e confrontarsi rispetto alle questioni che emergono. Molto utile ed efficace è anche l’intervisione di gruppo, all’interno della quale diversi terapeuti possono elaborare insieme le angosce, le difficoltà e le inquietudini che emergono nel corso delle sedute con i propri pazienti.
Presso il centro di psicologia e psicoterapia La Fenice è attivo da molti anni un gruppo di intervisione, cui partecipano solitamente 7 o 8 terapeuti, condotto dal dottor Simone Ordine. Questo tipo di lavoro consente anche di incrementare le capacità terapeutiche dei vari partecipanti, non solo perché vengono elaborati insieme i controtransfert ma anche perché è possibile affrontare determinati elementi difficili anche attraverso la chiave di lettura fornita dai diversi approcci dei terapeuti partecipanti.