BY: admin
Psicologia
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Nel suo libro “Il dono della terapia”, Irvin Yalom racconta un aneddoto legato a una sua paziente, una donna adulta con un cancro al seno, che per tutta l’adolescenza ha vissuto un rapporto molto complicato con il padre.
Un rapporto contrastato, una sorta di lotta continua poiché il genitore sembrava ostacolarla in tutto quello che faceva. Soffrendo per questa situazione, la ragazza aveva atteso una situazione in particolare per cercare di riconciliarsi con il padre, superando le divergenze. Aveva quindi aspettato il momento in cui lui l’avrebbe accompagnata all’università in macchina poiché avrebbero avuto l’occasione di condividere molto tempo insieme, trattandosi di un viaggio di diverse ore.
Ma quel viaggio che aveva tanto atteso si rivelò un completo fallimento. Suo padre, alla guida, continuava a comportarsi come sempre, lamentandosi di un ruscello di acqua sporca, coperto di immondizia che vedeva dal finestrino. Lei, però, non riusciva a capire cosa vedesse di tanto brutto in quel piccolo corso d’acqua, che scorreva dolcemente a lato della strada, in mezzo alla campagna. Così, non trovando qualcosa da dire per controbattere e tenere viva la conversazione, non avendo un orizzonte comune, lei restò in silenzio. Non si scambiarono più nemmeno una parola.
Soltanto tempo dopo la ragazza riuscì a capire cos’era successo durante quel viaggio. Quando percorse di nuovo quella strada, stando lei alla guida, da sola. Soltanto allora si accorse che c’erano due ruscelli lungo il percorso, uno da un lato e uno dall’altro, visibili dal finestrino del guidatore e da quello del passeggero. “Questa volta era io che guidavo e il corso d’acqua che vedevo dal mio finestrino dal lato del guidatore era proprio brutto e inquinato come mio padre lo aveva descritto”.
Questa consapevolezza, però, era arrivata troppo tardi. Nel momento in cui la donna era riuscita a vedere le cose dal punto di vista dell’altro, di suo padre, l’uomo era già morto.
Questa vicenda, realmente accaduta, diventa per Yalom una metafora estremamente potente sull’empatia cioè la capacità di mettersi nei panni dell’altro, di comprendere i sentimenti, i pensieri e le emozioni di chi si ha di fronte. L’empatia è un’abilità sociale fondamentale che consente di entrare in contatto profondo con l’altro, di sviluppare sintonia e di comunicare. Senza empatia, le nostre relazioni sarebbero superficiali.
Ma l’empatia è anche uno strumento fondamentale per il terapeuta.
L’empatia in psicoterapia
È stato Carl Rogers, uno dei padri della psicologia umanistica, a includere l’empatia tra le caratteristiche essenziali di un terapeuta efficace, cioè che sia in grado di accompagnare il paziente lungo il percorso di riscoperta di sé stesso.
Il paziente trae un grande beneficio anche dal semplice fatto di essere visto davvero, dal sentirsi compreso e accolto. Perciò è importante che il terapeuta possa mettersi nella condizione di capire in che modo l’altro vede e sente, non soltanto il presente, ma anche il passato e il futuro. Non si tratta di un processo semplice, anche se potrebbe sembrarlo. Di empatia e del sentirsi vicini si parla continuamente, arrivando a banalizzare qualcosa di molto complesso.
L’empatia non è la semplice compassione, non è il provare pietà nei confronti di chi soffre. Quando si parla di empatia si fa riferimento a una partecipazione intima, a una capacità di avvicinarsi senza respingere. Il reale significato di questa abilità si comprende facendo riferimento all’etimologia. Empatia deriva dal greco en (in) e patheia, dalla radice del verbo pasko cioè soffro e vuol dire letteralmente “sentire dentro”. Il rischio costante è quello di proiettare sull’altro i propri pensieri, i propri sentimenti, falsando la percezione. Alzando uno schermo che impedisce di arrivare davvero alla comprensione.
Lo spiega bene Yalom facendo riferimento alla propria esperienza durante le sedute. Il terapeuta, infatti, evidenzia come molto spesso rimanga lui stesso meravigliato del modo in cui i pazienti descrivono una propria reazione emotiva rispetto a qualcosa avvenuto nella seduta precedente. Qualcosa a cui lui, magari, non ha fatto caso. Tanto da rimanere perplesso e domandarsi cosa sia accaduto per scatenare una reazione tanto forte nell’altro.
Esperienze simili lo hanno portato a capire che non deve mai presupporre che lui e il paziente vivano la stessa esperienza durante le sedute.
In terapia, però, è importante anche insegnare l’empatia, aiutare il paziente a sviluppare questa importante abilità. Il modo più immediato consiste nel consentire al paziente di sperimentare l’empatia con il terapeuta, che funge da figura di riferimento. È una sorta di allenamento per la vita, una prova generale per quello che avverrà poi fuori dalla stanza di terapia.