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Psicologia / Psicoterapia
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Domenica 15 dicembre 2019, negli spazi del Centro di psicologia e psicoterapia La Fenice si è tenuto un evento molto particolare: la messa in scena di “Out of order”, spettacolo della sartoria teatrale LabCostume, già presentato nel luglio del 2017 al teatro della Cometa.
La serata è stata organizzata come evento di beneficienza, con lo scopo di raccogliere fondi da devolvere a Rosso Bebè Onlus, organizzazione senza scopo di lucro fondata da mamma Katia e papà Roberto per aiutare bambini e ragazzi affetti da disturbo dello spettro autistico e le loro famiglie.
Le loro attività si articolano in progetti legati all’intervento riabilitativo e all’inclusione sociale.
Out of order, fuori servizio: la crisi che diventa opportunità
Indice
Out of order, come spiega in un’intervista Emiliano Sicuro, che ha realizzato la sceneggiatura, è uno spettacolo “di pancia”, che prende spunto da una situazione reale, da un’esperienza personale, integrata con spunti ed elementi provenienti dal vissuto di altri e traslata nella dimensione teatrale.
All’origine ci sono sentimenti negativi come la delusione, il senso di abbandono, la confusione, la perdita di ogni punto di riferimento, in poche parole un momento di crisi. È quel tipo di situazione in cui non ci si riconosce più, si sperimenta un disagio forte, una sofferenza che non si riesce nemmeno a esprimere, a verbalizzare. Ci si sente fuori controllo.
Eppure la crisi rappresenta un’enorme opportunità per chi la vive.
Per comprenderlo, bisogna tornare al significato etimologico della parola, che deriva dal verbo greco krino. Un verbo che letteralmente vuole dire separare e che, in senso più esteso, significa discernere e quindi scegliere. La crisi ci mette di fronte a una scelta, a un bivio, a nuove possibilità che si dischiudono di fronte ai nostri occhi. Da questo punto di vista, la difficoltà si trasforma in un’opportunità di crescita, di maturazione, di maggiore consapevolezza di sé.
Ogni evoluzione prevede il compimento di una scelta. Qualcosa che non è mai semplice perché quando si sceglie qualcosa, si rinuncia ad altro. La scelta ha un valore profondamente esistenziale, ha a che fare con la libertà e con la necessità di assumersi delle responsabilità.
È proprio quando ci si sente “fuori controllo” che spesso si decide di andare in psicoterapia. Di entrare in quello studio, mettersi di fronte al terapeuta e cominciare a lavorare su sé stessi, su quel sintomo come l’ansia o l’attacco di panico che nasconde, sotto la superficie, una difficoltà, un nodo da sciogliere per poter vivere non soltanto meglio, ma in modo più autentico.
Per liberare le energie, le tante potenzialità che giacciono nascoste dentro di noi.
La crisi ci mette di fronte alla necessità di prenderci cura di noi stessi, di rintracciare l’origine del disagio per poter porre rimedio. Il passato non può essere cambiato, ma è possibile ricucire gli strappi, curare le ferite, assumerci la responsabilità del nostro presente. Spesso il dolore viene da più lontano, dall’infanzia, da una dimensione di trascuratezza vissuta quando si era bambini. È quello che chiamiamo deficit parentale, la carenza di risposte adeguate ai bisogni primari da parte dei genitori nel momento della vita in cui ne abbiamo più bisogno.
“Non possiamo cambiare neppure una virgola del nostro passato, né cancellare i danni che ci furono inflitti nell’infanzia. Possiamo però cambiare noi stessi, ‘riparare i guasti’, riacquisire la nostra integrità perduta.
Possiamo fare questo nel momento in cui decidiamo di affrontare più da vicino le conoscenze che riguardano gli eventi passati e che sono memorizzate nel nostro corpo, per accostarle alla nostra coscienza. Si tratta indubbiamente di una strada impervia, ma è l’unica che ci dia la possibilità di abbandonare infine la prigione invisibile – e tuttavia così crudele – dell’infanzia e di trasformarci, da vittime inconsapevoli del passato, in individui responsabili che conoscono la propria storia e hanno imparato a convivere con essa.”
(Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé, Alice Miller, Bollati Boringhieri, 1996)
Non è un caso che, come dice Emiliano, “Out of order” sia nato all’interno del Centro di psicoterapia La Fenice, che lo spettacolo si sia nutrito, in parte, della dimensione terapeutica. Che si parli anche di infanzia, di rinascita, di uno sguardo che si volge indietro, di una narrazione che oscilla tra realtà e fantasia, in un girotondo che è ricerca della propria identità.
Teatro e psicoterapia: lo psicodramma
Non è un caso per due motivi.
Innanzitutto perché, un percorso di psicoterapia consente è un’esperienza di piena libertà del pensiero, attraverso la quale è possibile esplorare ogni ambito, superando quei vincoli irrazionali che precludono la possibilità di esprimere a pieno sé stessi.
In questo senso, gli psicoterapeuti dello studio concepiscono la diversità non come anomalia ed elemento estraneo, ma come caratteristica del singolo individuo, da valorizzare come risorsa.
L’arte, nelle sue forme più varie, è un veicolo di espressione emotiva, un canale preferenziale che consente di attingere alla realtà più profonda del proprio essere. Per questo, in passato, all’interno del Centro La Fenice si è pensato di organizzare anche una mostra che ha preso il nome di Cura e pittura.
Ma il teatro, in particolare, può entrare a far parte della psicoterapia stessa attraverso la tecnica dello psicodramma, utilizzata soprattutto nella terapia di gruppo. Essa consiste nella possibilità di mettere in scena, all’interno del setting terapeutico, un sogno, una fantasia o anche una vicenda del proprio passato, parte del vissuto. I membri del gruppo si prestano nel ruolo di “attori” per interpretare le varie parti: il padre, la madre, la moglie, l’amico, chiunque sia coinvolto nella scena che deve essere rappresentata.
Lo psicodramma consente di rivivere l’esperienza nel presente, nel qui e ora della relazione terapeutica e di esplorare le emozioni connesse.
Il paziente non parla soltanto di quello che ha provato durante quell’evento, lo rivive in modo integrale, chiamando in causa la dimensione del corpo, che diventa protagonista dell’azione attraverso i gesti, lo sguardo, la voce. In questo modo si riesce spesso a sbloccare emozioni sopite, a entrare in contatto con parti di sé rimaste nascoste e negate.
Ma soprattutto, lo psicodramma permette di riscrivere la storia, di darle uno sviluppo diverso, un finale completamente differente. Si possono invertire i ruoli, cosicché il protagonista, il paziente che ha raccontato il ricordo o il sogno da cui si parte, può vedere qualcun altro interpretare la sua parte. Può vedersi dall’esterno, con occhi diversi. Si possono anche assumere ruoli diversi in sequenza all’interno della stessa drammatizzazione.
Sono modi per rovesciare la prospettiva tradizionale, uscire fuori da sé e cogliere atteggiamenti, comportamenti, modi di essere da un altro punto di vista.
Queste sono soltanto alcune delle modalità attraverso le quali il teatro, entrando in contatto con la psicoterapia, consente di superare il disagio e ritrovare il benessere.