Sulla femminilità 03 Feb 2018

BY: admin

Psicologia

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della dottoressa Federica Elia, psicoterapeuta

Lo avrei dovuto capire da Lady Oscar, il mio cartoon preferito di sempre, da sempre.

Sotto gli occhi giudicanti di mia zia – ferrea nei suoi principi morali e senza alcun dubbio sul ruolo della donna come ancella della casa e della famiglia – che mi diceva: “Non guardare quel cartone animato. E’ ambiguo!”

Quella parola – AMBIGUO – me la ricordo come fosse ieri.

Lady Oscar per me non era ambigua, era molto di più.

Oggi comprendo che Lady Oscar per me ha rappresentato una immagine importante di qualità maschili vitali e necessarie all’interno di una personalità e di un’anima femminile.

In famiglia per un po’ devono aver pensato che quel cartoon avrebbe condizionato la mia crescita in senso negativo, e forse io stessa in fondo mi aspettavo una ripercussione dolorosa e conflittuale di quelle parole sulla mia mente, parole accompagnate regolarmente da una espressione facciale scandalizzata di mia zia nel pronunciarle – ma niente.

Crescevo serena e libera, nessuna traccia di ambiguità conflittuale che turbasse le mie giornate.

Non era quello il punto, evidentemente.

Il punto era che amavo la fierezza di Lady Oscar, la sua nobile armatura, il valore ed il coraggio di chi vedevo combattere come un uomo, empatizzando segretamente con il suo cuore e la sensibilità di donna celate all’interno di una storia che trovavo semplicemente affascinante.Lady Oscar fungeva per me da ideale, qualcuno in cui identificarmi e da ammirare.

Non ero una bambina che impazziva per le principesse e le bambole. Ma lei sì, mi ammaliava.

Crescendo, facevo amicizia facilmente con tutti, ma soprattutto con i maschietti con cui condividevo la gioia dei giochi al di là degli stereotipi adulti.

Ho sempre praticato tanto sport, spesso superando i maschi nei risultati e con mia grande soddisfazione.

Da adolescente dicevo spesso di avere una “mentalità maschile”…….poi ho capito che mi riferivo all’anima, ad una parte importante della mia anima e della mia interiorità, fonte di grande vitalità ed energia.

Uno spirito libero, un gatto, un’anima indomabile, non appartengo a nessuno. Appartengo a me.

Questo è, paradossalmente, ciò che in fondo mi rende e mi fa sentire davvero una donna.

Donne che corrono coi lupi: la donna selvaggia e la dipendenza affettiva

Ho spesso cercato e trovato nello sport e nelle attività motorie tracce e segni vitali di quella Natura Selvaggia ed istintuale di cui parla la Estès nel suo mirabile testo “Donne che corrono coi lupi”; da bambina d’estate mi piaceva nuotare fino alla barriera scogliosa, arrampicarmi su uno di quegli scogli e starmene lì, sola, a guardare la gente vivere, con il mare blu sotto  di me.

Mi faceva sentire libera; non sola, libera.

“La Donna Selvaggia è la salute di tutte le donne” – scrive la Estès.

Eppure, molte donne si ammalano: le varie forme di “dipendenza affettiva possono essere viste come espressione di esistenze al femminile in cui l’Archetipo della Donna Selvaggia viene messo da parte, trascurato, dissociato, ritenuto inopportuno, ucciso in nome di un equivoco sull’amore.

Un amore che ti annulla, non è amore.

Un amore che ti controlla, non è amore.

Un amore che ti chiude in gabbia, non è amore.

Viceversa, una donna che ama e che viene amata sente rifiorire dentro di sé creatività e vitalità, percepisce con chiarezza il senso del proprio progetto del sé, esplora con lieta sicurezza le profondità del sé e delle proprie relazioni interpersonali; sa giocare e trovare nuovi stimoli, prendersi cura degli altri ed offrire aiuto, perché ha fatto esperienza del prendersi cura di sé in modo pieno e sano.

L’amore è una forza che ti spiega le ali verso gli orizzonti che più sono tuoi, non te le tarpa per paura di dove potresti volare; chi ti ama davvero, non temerà che il tuo volo sia un abbandono ma farà di tutto per volare con te.

Il suono della Donna Selvaggia lo puoi ascoltare ovunque….è seguendo quel suono che provo un piacere sottile e ingombrante nel perdermi a piedi per le strade cittadine mentre assaporo i miei passi ed il camminare delle mie gambe; oppure quando da ragazzina mi liberavo ribelle delle mie ginocchiere sul campo da pallavolo, poiché non  mi permettevano di correre libera e veloce come volevo e come sapevo di poter fare; ed ancora, è il richiamo della Donna Selvaggia che mi fa cantare per ore in auto mentre guido, toccando note altrimenti impensabili.

Quel richiamo lo puoi sentire ovunque, anche se vai al cinema da sola a vedere un bel film, o se ti fermi ad emozionarti di fronte ad un quadro che sembra avercela con te.

La fonte dell’energia vitale, l’anticamera del sorriso più vero: questo è ciò che non dovremmo mai perdere.

Seguendo le parole della Estès: “ Le porte sul mondo della Donna Selvaggia sono poche ma preziose. Se avete una cicatrice profonda, questa è una porta. Se desiderate fortemente una vita più profonda, una vita piena, una vita sana, questa è una porta.”

E’ grazie alla Donna Selvaggia presente in te che puoi realmente diventare “la migliore alleata di te stessa”.

Personalità empatica e personalità narcisistica

Ho sentito spesso parlare della facilità con cui una donna empatica rimarrebbe incastrata in una relazione – patologica e tossica – con un uomo narcisista (o viceversa).

A proposito di dipendenza affettiva, ritengo utile esaminare più da vicino la questione.

Premesso che nell’essere umano esistono aspetti narcisistici “sani” ed evolutivamente adattivi, e che questi sono il risultato di un equilibrio narcisistico rispondente a bisogni d’oggetto-sé  (cfr. H.Kohut) non solo naturali, ma presenti per tutto l’arco vitale, inizierei con il sottolineare che sia l’individuo empatico sia il cosiddetto narcisista sono niente più che esseri umani.

Pensare che una personalità empatica in relazione con una personalità narcisistica (il che spesso significa “narcisisticamente vulnerabile”) sia destinata a rimanere incastrata in un amore tossico ed a perdere la sua “natura selvaggia” o la sua indipendenza mentale, può essere fuorviante, contenendo solo un fondo di verità.

Il rischio è, a mio avviso, quello di delineare rigidi stereotipi polarizzando l’universo relazionale in buoni/cattivi o vittime/carnefici o sani/malati.

Come spesso accade, la differenza non è qualitativa ma quantitativa: in ognuno di noi esistono presumibilmente predisposizioni empatiche più o meno sviluppate, e bisogni narcisistici (di rispecchiamento, di idealizzazione, di gemellarità) più o meno ascoltati e soddisfatti.

Una personalità con un buon livello di empatia inscritto in un equilibrio narcisistico adeguato avrà presumibilmente un grado di autostima sufficientemente alto ed una chiarezza nei confini interpersonali tale da potersi confrontare con un cosiddetto “narcisista” senza soccombere.

Di più, potrebbe rivelarsi addirittura un incontro fecondo e complementare attraverso cui l’uno possa dar voce ed ampliare aree del Sé maggiormente evidenti nell’altro.

Quello che voglio dire è che spesso si finisce con il vedere la vittima nell’empatico ed il cattivo carnefice nel narcisista, ma ci si dimentica che la prima cosa da fare è lavorare su di sé e sul fatto che permettiamo o meno ad un’altra persona di annientarci e di annullarci.

Il messaggio fondamentale è quindi: una donna empatica che non ha abbastanza forza , stima di sé, che non ascolta la propria Donna Selvaggia, che non dimostra capacità di stabilire e mantenere sani confini, potrà imparare a fortificarsi su queste aree, conservando le sue risorse empatiche ma mettendole al servizio anche di sé, oltre che dell’altro.

Diventando persone empatiche ma sicure di sé e narcisisticamente equilibrate, queste donne sapranno anche relazionarsi con uomini dai tratti narcisistici, senza diventarne né vittime né prigioniere.

Essere empatici ed avere una buona autostima è l’equipaggiamento psichico migliore per vivere le relazioni, anche quelle più critiche.

Ecco perché dobbiamo dare ascolto alla voce della Donna Selvaggia: essa ci aiuta a non cadere in trappole affettive, ma a restare salde e fedeli a noi stesse, libere ed autonome ma al contempo straordinariamente capaci di amare e di ricevere amore in forme vitali e vitalizzanti.

Per collegarci alle Estès: “ Tutte le creature devono sapere che esistono i predatori. Senza questa conoscenza, la donna sarà incapace di negoziare tranquillamente all’interno del suo bosco senza essere divorata. Comprendere il predatore è diventare un animale maturo, non vulnerabile per ingenuità o stupidità.”

Per poter dunque stare in relazione con un predatore (un narcisista) e non restarne imprigionate, non bisogna cercare di curarlo, di guarirlo oppure di farlo cambiare; quello che dobbiamo fare è lavorare su noi stesse e costruire un nostro personale equilibrio narcisistico grazie al quale sapremo interfacciarci con il nostro uomo con tanta empatia e comprensione quanta fermezza e stabilità di confini, con la capacità di esprimerci e di liberare le nostre più autentiche ambizioni ed i nostri più veri e genuini tratti di personalità, senza mai rinunciare ad essere noi stesse.

A volte sarà necessario essere e sentirci egoiste, a volte anche dure,  perfino ostinate.

Sono ingredienti indispensabili da integrare in un atteggiamento femminile già fin troppo incline alla comprensione ed all’amore incondizionato.

L’amore è condizionato.

E’ condizionato dal rispetto, dalla reciprocità dei sentimenti, dall’ascolto e dalla tutela affettiva, dalla considerazione e dallo scambio dei doni che avviene fra i due partners, dall’attenzione ai dettagli della nostra vita interiore, dalle risposte che diamo e che riceviamo.

Soprattutto, l’amore è condizionato dalla libertà dell’altro che non va mai uccisa o soffocata, ma continuamente alimentata.

Non è mancare di romanticismo, ma essere consapevoli del valore della reciprocità in amore, una reciprocità che si esplica anche nell’offrire e nel ricevere un buon rifornimento narcisistico: rispecchiamento (tu mi rispecchi, mi capisci, mi confermi e mi convalidi), idealizzazione (io ti ammiro) e gemellarità (siamo proprio uguali).

Ancora dice la Estès:” L’uccisione di tutte le mogli curiose da parte di Barbablù è l’uccisione del femminino creativo, che ha il potenziale per sviluppare nuovi ed interessanti aspetti di ogni genere. Il predatore è particolarmente aggressivo nel tendere imboscate alla natura selvaggia della donna. Come minimo cerca di schernire, e nel peggiore dei casi di tagliare il collegamento della donna con le sue introspezioni, aspirazioni, obiettivi.”

Si tratta di maturare la consapevolezza che nessun uomo ti renderà regina, ma ciò che puoi fare è ristabilire la sovranità sulla tua vita, diventando la regina di te stessa.

Una bimba guarda Lady Oscar ed inizia a familiarizzare con l’Animus della psicologia junghiana, un’energia maschile interiore di grande valore poiché investita di qualità che tradizionalmente le donne sono tenute a dissipare: una fra tutte, l’aggressività, una sorta di muscolo psichico, a volte un ponte fra i mondi del pensiero e dei sentimenti intimi ed il mondo esterno. Ecco allora che l’aggressività, come anche l’assertività, la forza e la capacità d’azione e di espressione delle proprie idee possono essere una benedizione per una donna.

Seguendo la Estès: “La Donna Selvaggia insegna alle donne a non essere CARINE quando si tratta di proteggere la vita dell’anima…Essere “dolci” in questi casi fa soltanto sorridere il predatore. Quando la vita dell’anima è minacciata, non è soltanto accettabile tirare una riga: è indispensabile.

Quando una donna lo fa, nella sua vita non si può interferire troppo a lungo, poiché lei percepirà immediatamente che cosa è sbagliato e respingerà il predatore al suo posto”.

E ancora: “…Per generazioni la madre che voleva generare stima in se stessa e nella sua prole aveva bisogno proprio delle qualità che le erano espressamente vietate: veemenza, audacia e capacità di spaventare gli altri.”

La ragazza del treno: metafora della dipendenza affettiva

Vorrei infine citare un altro libro, “La ragazza del treno” di Paula Hawkins. L’autrice ci mette di fronte ad una donna confusa e disorientata (Rachel) dai sintomi dell’alcool, ma possiamo vedere ciò come una metafora della dipendenza affettiva che nel racconto si dirama attraverso un effetto Gaslighting: la mente di Rachel comincia a dubitare di cosa sia la realtà o la non realtà e si domanda incessantemente, in uno strenuo logorìo, se ad essere successo sia stato un evento o un altro, se ad essere la causa ed il colpevole di quel dato evento sia lui (Tom) oppure lei stessa.

Una mente invasa da insicurezza e dubbio,  che come un trapano trapassano, feriscono e distruggono la vita con le sue certezze. Di colpo tutta la fragilità di cui Rachel è portatrice balza in primo piano, lasciandola sola e prostrata. La protagonista del libro della Hawkins è una donna che si è lasciata sopraffare non tanto dalla bottiglia quanto da un uomo che sembra tenere abilmente in scacco ben tre donne (Rachel, Anna, Megan).

Tutte manipolate, tutte organizzate intorno all’intreccio di bugie e false credenze di cui Tom è creatore ed artefice consapevole.

Un giallo, un thriller, ma anche e soprattutto uno spaccato psicologico sulle dinamiche relazionali patologiche fondate sulla dipendenza affettiva tragicamente scambiata per amore.

Prendiamo un episodio: avviene un atto aggressivo, qualcuno ha colpito qualcuno, con una mazza da golf o qualcosa di simile. Ma i ricordi di Rachel sono sfumati, non è sicura di quel che ricorda, prova un misto di senso di colpa, di vergogna e di rabbia per quello che crede di aver fatto, ma l’insicurezza dilaga….ogni ipotesi potrebbe essere plausibile….forse non è stata lei a colpire lui, ma viceversa….

Più volte leggendo siamo portati a sposare il pensiero della donna, di Rachel, a condividere la sua confusione, a piangere le sue lacrime, a bere il suo alcool, a sentire la sua tristezza e la sua disorganizzazione mentale, soprattutto la sua disperazione. La realtà è mascherata, camuffata, resa “diversa” e tutto questo per un fine ben preciso: sottometterla, renderla innocua, farla tacere.

Rachel: “Io ti ho visto. Dopo avermi picchiata mi hai lasciata lì, nel sottopassaggio.”

Tom scoppia a ridere, poi dice: “Io non ti ho mai picchiata, sei caduta! Dici solo stupidaggini. Io non ho mai alzato un dito su di te, lo giuro. Quando bevi, non ricordi più nulla di quello che succede, e poi ti inventi…”

Tom in questo passaggio, messo alle strette da Rachel, le prova tutte: bugie, manipolazione, distorsione della realtà a proprio vantaggio.

Poi, nei confronti dell’altra donna, Anna, cambia strategia cercando di ingraziarsela con finta dolcezza ed alla fine incolpandola di tutto: “Eri sempre stanca. Non eri interessata a me, pensavi soltanto alla bambina. Non è forse vero? Tu eri al centro di tutto.”  In tal modo Tom cerca di ritornare padrone della situazione , offende la donna, la denigra, la ridicolizza e la fa sentire responsabile perfino del tradimento di lui con Megan: “E Megan era….be’….era molto disponibile. All’inizio ci incontravamo a casa sua, ma lei era paranoica…”

Le offese a questo punto sono indistintamente dirette a tutte e tre le donne coinvolte (Rachel, Anna, Megan) : “E’ davvero faticoso avere a che fare con persone come voi. Cavolo, ci ho provato! Ho provato ad aiutarvi…Voi siete….Vi ho amate tutte, sul serio, ma siete così….così fragili”.

La trama del libro ci aiuta a trovare la forza di smascherare la menzogna, perché qui c’è da scoprire il colpevole di un omicidio. Qualcuno è stato ucciso. E la forza di far emergere la verità ci viene data da questo movente psicologico, grazie al quale Rachel esce dalla confusione e fa chiarezza nella mente e nei ricordi.

Ma non dimentichiamo mai che ogni volta che una donna viene messa a tacere attraverso l’inganno, ogni volta che nella mente di una donna viene istigata e fatta proliferare confusione, dubbio ed incertezza fino al farla vacillare circa le sue stesse percezioni e la sua realtà, ogni volta che un uomo convince o prova a convincere la sua donna che amore implica possesso e soggezione al suo uomo, ogni volta che una donna ha paura e terrore del suo lui e si sente penosamente schiacciata dal suo predominio psicologico diventandone succube silenziosa, ognuna di queste volte viene commesso un violento omicidio, quello dell’anima e della natura libera e selvaggia della psiche femminile.

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