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Psicoterapia
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Spesso si discute di chi abbia dato avvio alla pratica della terapia familiare. Ma, come scrive Camillo Loriedo, bisogna riconoscere che Nathan Ackerman è il primo ad aver scritto un articolo in cui viene proposta la terapia familiare, parlando della famiglia come “unità sociale ed emotiva”.
Probabilmente è anche la sua esperienza personale e familiare a determinare il grande interesse nei confronti di questo settore specifico.
Nathan nasce nel sud della Russia, in una famiglia agiata di commercianti ebrei con elevato livello di istruzione e dote per l’arte, che si manifesta nei vari membri. Si tratta di una famiglia molto numerosa e per mantenerla il padre decide di emigrare negli Stati Uniti, dove viene raggiunto poco dopo da moglie e figli.
Il padre lavora e contemporaneamente studia, cercando di ottenere un titolo come farmacista, in modo da avviare un’attività. La madre, invece, si occupa dei figli, provvedendo ai loro bisogni materiali ma dimostrando anche affetto e comprensione nei loro confronti.
La famiglia attraversa una lunga serie di difficoltà a livello economico, relazionale e di salute. A causa della salute del padre e dei debiti sono costretti a chiudere la farmacia e, nello stesso periodo, il fratello minore di Nathan, Harry, sviluppa un esaurimento nervoso piuttosto grave. Anche gli altri fratelli vanno incontro a problemi a causa delle difficoltà nella relazione con il partner. Nathan si fa carico dei problemi di Harry e, forse, proprio di fronte a questo disagio decide di specializzarsi in psichiatria, contribuendo alle cure del fratello minore.
L’importanza delle emozioni del terapeuta
Indice
Fin dall’epoca dei suoi studi, Nathan Ackerman ha la sensazione che l’ortodossia psicanalitica, la psicoanalisi nella sua forma tradizionale, limiti l’emotività del terapeuta. Un’emotività che per lui appare fondamentale nella pratica clinica. Lui stesso evidenzia come vengano repressi e nascosti gli aspetti più informali e intimi del rapporto terapeutico: “questo tipo di vicinanza viene considerata un tabù” scrive. Ma una condotta rigida e formale non è necessaria, anzi.
Tuttavia Ackerman, nonostante le critiche mosse alla psicoanalisi, non arriva a tradire lo spirito del movimento. Piuttosto cerca di integrare la psicoterapia e liberarla dai vincoli formali, trovando nella nascente terapia familiare il luogo privilegiato per questo “esperimento”.
Nathan ritiene che la terapia della famiglia consenta un reale scambio emotivo grazie all’interazione sociale. All’interno di essa il terapeuta dà un proprio contributo personale, che non può essere slegato dal rapporto terapeutico. Per lui è importante non solo che il terapeuta conosca le emozioni del paziente, ma anche il contrario, secondo un prassi ben precisa: il terapeuta deve essere in grado di filtrare le proprie emozioni e lasciarle trapelare all’interno della relazione, nell’ambito della seduta, in modo che il paziente sperimenti quelle di cui ha bisogno per stare bene.
Bisogna entrare in rapporto e ridurre la distanza emotiva.
Lui stesso scrive che “l’arte della terapia familiare consiste in un’espressione irripetibile e spontanea del sé nel suo ruolo terapeutico”. Attraverso la personalità del terapeuta si orchestrano i temi dei vari interventi, si alimenta l’intimità, si aprono i canali comunicativi, si riduce il conflitto e l’ansia, si ristrutturano le immagini delle interazioni familiari.
Fuori dagli schemi: la rivoluzione del setting
Ackerman scardina le norme che regolano il setting terapeutico, adottando un approccio del tutto personale. Le sedute con i pazienti non hanno una durata fissa: alcuni li vede per appena 15 minuti, con altri si trattiene due ore o anche di più.
La sua sala d’attesa è sempre piena e lui stesso invita chi sta seduto pazientemente ad aspettare il proprio turno a fare conoscenza con gli altri. È come se avesse messo in piedi, spontaneamente, un gruppo terapeutico informale.
Con bambini e ragazzi usa metodi che escono fuori dai canoni, arrivando anche a coinvolgerli in partite di pallone oppure li fa partecipare ad attività artistiche e creative. Tutti questi comportamenti rispondono al principio alla base del suo metodo e del suo modo di intendere la terapia: il terapeuta deve essere sé stesso e mostrarsi per quello che è, in modo aperto, senza lasciarsi condizionare dagli stereotipi professionali. Chiama i membri delle famiglie con i nomi propri, li invita a sedersi più vicini a lui, abbatte le distanze, cerca il contatto emotivo.
La terapia familiare secondo Ackerman
Il processo terapeutico secondo Ackerman segue dei passaggi ben precisi. Per prima cosa, all’inizio della terapia, il compito del terapeuta è quello di creare un rapporto fondato su empatia, comprensione e comunicazione. Questa fase è molto delicata perché si tratta del momento in cui il terapeuta “entra nella famiglia” e non può restare passivo, deve agire attivamente, avviando uno scambio emotivo significativo. Ritiene, inoltre, che se i membri della famiglia riescono a entrare in contatto con il terapeuta, migliorerà anche il loro contatto reciproco, la relazione che si instaura tra di loro.
Ackerman ritiene, inoltre, che nella fase iniziale di raccolta dei dati sui pazienti non ci sia bisogno di seguire la prassi tradizionale dell’anamnesi. Piuttosto è necessario avviare il processo terapeutico in modo naturale e spontaneo. Proprio perché il gruppo familiare sta affrontando delle difficoltà, dall’osservazione diretta e immediata è possibile far emergere la sua storia, quello che il terapeuta chiama “passato vivo”.
Per valutare la patologia, Ackerman penetra nel conflitto, partecipa ai processi di interazione e poi si ritrae per oggettivare l’esperienza.
Dopo di che, il terapeuta usa il legame che è riuscito a stabilire con la famiglia per “evocare l’espressione di conflitti importanti”. Chiarisce la natura del conflitto, fa cadere barriere e vincoli, fa luce sulle incomprensioni. Cerca di condurre i vari membri del nucleo familiare a comprendere la natura del disagio. Cerca cioè di aumentare il livello di consapevolezza della famiglia.
Per ottenere questo scopo mette in atto una serie di tecniche e interventi mirati. Per esempio combatte le negazioni e le razionalizzazioni del conflitto oppure trasforma il disagio sotteso ai rapporti in interazioni manifeste e visibili, immediatamente comprensibili. Quando il conflitto latente emerge, si rendono evidenti anche i ruoli dei vari membri all’interno del sistema familiare.
A questo punto si sprigiona l’angoscia, legata all’esigenza del cambiamento degli schemi comportamentali della famiglia. Il terapeuta, in questa delicata situazione, assume un ruolo di guida, diventa una sorta di figura parentale che consente di controllare i pericoli percepiti dalla famiglia per la propria stabilità ed equilibro interno, che va incontro alla trasformazione. Il terapeuta fornisce spunti nuovi, soluzioni che la famiglia non ha mai applicato.
Attraverso il confronto e l’interpretazione, il terapeuta porta la famiglia verso il cambiamento definitivo dei modelli relazionali di riferimento.