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Psicologia e cinema
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della dottoressa Federica Elia
Rappresentazione metaforica, partiamo da qui.
Il film non narra di un posto reale, di persone reali, di storie reali. O almeno non nel senso comune.
Un film che può anche non piacere, ma che di sicuro fa parlare di sé, e fa riflettere, molto.
“The place” è una metafora. Rappresenta l’inconscio al lavoro durante un percorso di profonda introspezione, quale può essere la psicoterapia psicoanalitica.
E questo non solo per il richiamo al setting terapeutico del vìs a vìs con frequenza costante e regolare in cui i due attori di turno si incontrano sempre nello stesso posto.
C’è di più.
Si parte da un desiderio umano, si procede per obiettivi, è richiesto di affrontare prove e demoni interiori . Desideri e paure. Ciò che siamo disposti a rischiare, fin dove siamo disposti a spingerci per ottenere, pur di ottenere, ciò che vogliamo.
C’è un mago, un sadico, uno psicologo, un mostro, e poi ci sei tu che in quel mostro ti specchi e devi scegliere da che parte stare, proprio mentre chiedi a lui da che parte sta.
Lui non ti obbliga ad agire, ma ti pone davanti alle più atroci sofferenze di una scelta, che non è nemmeno l’unica possibile. Resti solo, con i tuoi demoni, con i tuoi mostri.
E devi decidere, soppesare, trovare alibi ma poi smetterla di nasconderti a te stesso.
Il senso di The Place: la scelta autentica
Il senso, lo scopo ultimo di tutto questo orrore che nel film viviamo, è portare le persone a capire, spesso attraverso sofferenze e scelte atroci, cosa vogliono davvero dalla loro vita, a fare una scelta autentica, propria, liberi dalla obbligatorietà di decisioni etero dirette.
Viene in mente Socrate, il metodo maieutico, l’incontro con la propria coscienza dove ogni maschera cade ed i compromessi graffiano gli specchi su cui tentano di arrampicarsi per non dover rinunciare all’immagine buona che ognuno ha di sé.
La chiave di volta puntualmente è fornita da una riflessione introspettiva e condivisa sulle sensazioni, sulle emozioni, sugli stati d’animo che i personaggi progressivamente provano e con cui si ritrovano in contatto.
La domanda iniziale (del paziente? dell’uomo? di te? di me?) evolve, si trasforma, diventa altro, più vicina ai profondi ed autentici bisogni, ai veri progetti del Sé.
Allora il mago non serve più, la sua bacchetta magica non è più richiesta. La scelta è fatta. L’Io ritrovato, anche se il prezzo a volte è stato altissimo.
Il titolo, THE PLACE, è evocativo, rimanda per via associativa alla teoria freudiana della tripartizione della mente (Es/Io/Superio), alla topografia della mente, al teatro messo in scena dal film. “The place”, il posto, starebbe in tal senso ad indicare il luogo dell’inconscio, il terreno viscerale ove sono depositati i contenuti più indicibili e inconfessabili di ciascuno, quelli con cui i personaggi del film, nella loro carrellata di storie e vicende disperate, sono chiamati a fare i conti.
Confrontati con il lato oscuro e mostruoso che è dentro di noi – ci dice il film – abbiamo infine la possibilità di scoprire chi siamo veramente e di arrivare ognuno alla realizzazione di sé attraverso scelte sempre più autentiche e vicine alla nostra vera identità, senza più dover negare contraddizioni ed ambivalenze interne ma guardandole in faccia.
“Lo stai facendo per te, non per me” – recita il mostro, o meglio colui che dà da mangiare ai mostri.
Apprezzabile la svolta finale, che permette la chiusura: colui che fino a quel momento è rimasto su un piano superiore, distaccato, attento ai dettagli e sommerso dai “mali del mondo”, dimostra di saper superare le proprie angosce ed i propri limiti grazie ad una rinnovata capacità di uscire dall’anonimato e di mettersi anch’egli in gioco all’interno della “saga degli orrori e dei desideri”.
Il rimando al superamento della neutralità dell’analista classico è irrinunciabile.
Un libro da leggere si gira e viene letto per te da qualcun altro a cui affidi il tuo mondo interno: reciprocità curativa. Ritorno alla dimensione umana. Fine dei giochi.
Resta però un effetto finale che manca di qualcosa, l’impressione come di aver ascoltato una canzone dal testo impegnativo e valido, ma che non emoziona.
Guardando “The place” forse non si piange, sicuramente non si ride, senza dubbio si pensa.
The place: metafora dell’inconscio a lavoro
ultima modifica: 25/11/2017
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